Al Franchi, gli azzurri di Sarri sono irriconoscibili. Si stenta a credere che quella stessa squadra, solo una settimana prima, sia riuscita nell’impresa di stroncare la Juventus allo Stadium. E ancor di più si fa fatica a credere che l’eroe di quella partita sia stato Koulibaly, difensore aereo, Icaro delle altezze a Torino che a Firenze si ritrova sfigurato in un goffo cagnaccio da cortile, in un mastino addormentato e svogliato che si fa espellere dopo otto minuti dall’inizio della partita.
Giovanni Simeone, dall’altra parte, non è certo un fenomeno. È forte, ha margini di miglioramento importanti ma di sicuro non è Ibrahimovic. Eppure lui è bastato per scardinare un Napoli imborghesito, stanco, apparso in netta antitesi a se stesso.
Nella disfatta di Firenze è mancato tutto, persino la dimensione tragica. Parlare di seppuku, per il Napoli del Franchi, è troppo. Semplicemente, una sconfitta burocratica, inevitabile se, al momento topico, invece che gettare il cuore oltre l’ostacolo, facendo dell’entusiasmo dei tifosi la benzina per i tuoi nervi, marchi il cartellino in campo solo per onorare almanacchi e tabellini.
Eppure, tutto questo era ampiamente prevedibile. Il Napoli ha un difetto strutturale che solo il gioco stupendo espresso per buona parte del campionato è riuscito a celare. Non ha panchina, non ha sostituti in grado di subentrare e dare il cambio ai titolari affannati, spompati e umanamente bisognosi di tirare il fiato. Non riesce, perciò, ad arrivare fino in fondo alle competizioni. È capitato in Champions, è capitato in Europa League, sta accadendo (anche quest’anno) in Serie A.
Se il Napoli vuole vincere, deve spendere e allestire una squadra in grado di contare (almeno) sulle famigerate coppie, cioé per ogni ruolo debbono esserci almeno due calciatori compatibili e ritenuti dal mister ugualmente affidabili. Altrimenti, non rimane che attaccarsi all’arbitro, aggrapparsi ai soliti alibi: buoni solo per trovarsi una facile consolazione.