Libri. “L’ultima raffica” di Antonio Guerin come elogio delle scelte controcorrente

"Il cameratismo ha bisogno anche della confidenza, della reciproca fiducia, di simpatia, di gioia, di spirito di gruppo e, soprattutto, di non prendersi troppo sul serio"

La copertina de "L'Ultima raffica"
La copertina de “L’Ultima raffica”

«Il cameratismo ha bisogno anche della confidenza, della reciproca fiducia, di simpatia, di gioia, di spirito di gruppo e, soprattutto, di non prendersi troppo sul serio. Il nostro cameratismo, in un mondo che cambiava, di giorno in giorno più violento e sottosopra, ci è sembrato un punto fermo, un approdo sicuro, forse l’unico che ci è rimasto. E poi ci ha regalato delle gioie, dei momenti indimenticabili, che non ritroveremo forse più vivi, scanzonati, liberi». Robert Brasillach

“Passaggio al Bosco edizioni”, tra gli altri titoli che ci ha lasciato in questi mesi, ha ristampato e messo di nuovo alla luce un romanzo che lascia a bocca aperta. Leggendolo ci si riesce ad immedesimare nella tormentata e scanzonata epopea di un manipolo di ragazzi, che hanno rispettivamente tra i quattordici e i diciannove anni. Arruolatisi nelle Brigate Nere del comandante Pavolini, sono destinati a difendere un casolare nel nord Italia. Erano tempi di un’Italia tradita, quelli. E loro, decisero di stare dalla “parte sbagliata”.

Stiamo parlando de “L’Ultima Raffica” di Antonio Guerin, che ci ha lasciati nel 2009. Anch’egli indossò la camicia nera, in quegli anni e in quei giorni di tormento e abnegazione. Come racconta Maurizio Rossi in uno stralcio della sua prefazione, egli non si pentì mai della scelta fatta, anzi. La rivendicò sempre con orgoglio e commozione. Lo fece tramite la sua militanza nell’immediato dopoguerra, nel MSI, e poi dando vita ad una casa editrice, “Sentinella d’Italia”, traducendo anche le opere di Lèon Degrelle, del quale divenne amico fraterno.

I ragazzi protagonisti del romanzo sono molto diversi tra loro. Ma quel che conta, alla fine, è l’essere accomunati da un legame di sangue, di spirito e di idee, di un vincolo di servizio in funzione di un terzo elemento, per dirla con Ernst Von Salomon. Il terzo elemento era, in quel caso un’Italia da riscattare.

Il romanzo ne racconta la loro quotidianità, tra giuramenti, canti, risa, nostalgia di casa, sofferenza, guerra e onore. Parla del socialismo di trincea, nato nelle fila della grande guerra, sbocciava nuovamente. Ma il loro fascismo da difendere non era quello dei treni in orario e delle leggi sociali. A quattordici anni-ma anche a diciannove- non ci si batte per una questione economica (scrivere queste cose può sembrare folle in un’epoca dove l’homo economicus circonda le nostre esistenze!) ma ci si batte per un sentimento, per un certo sentire, per una visione del mondo, per spirito d’avventura. Basti pensare ai numerosi, tra ragazzi e ragazze, che falsificarono documenti, scappavano dalla famiglia e dai loro affetti più cari, per combattere nella Repubblica di Mussolini. E quella Repubblica, quei camerati, la difenderanno fino all’ultimo respiro.

Non ci dilunghiamo oltre. Perchè questo romanzo merita di essere letto e meditato. Nonostante tutto. Nonostante tutti. Perchè, d’altronde, “chi muore d’aprile quasi sempre ha torto”.

*L’Ultima Raffica di Antonio Guerin, Passaggio al Bosco Edizioni, anno 2017, pp. 238, euro 14

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Wim Kieft

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