Pacificazione possibile. La figlia del partigiano che uccise il beato Rolando Rivi chiede perdono

La croce per Rolando Rivi
La croce per Rolando Rivi

La figlia del partigiano, che uccise, il 13 aprile 1945, l’oggi beato Rolando Rivi, domenica pomeriggio ha chiesto perdono ai fedeli nel luogo dove nacque il giovane  seminarista, a San Valentino, frazione del comune di Castellarano in Provincia di Reggio Emilia.

Nella pieve del paese  Meris Corghi,  figlia di Giuseppe Corghi, ha chiesto perdono ai fedeli per ciò che fece suo padre. La cerimonia religiosa è stata preparata e presieduta dal vescovo di Reggio Emilia, monsignor Massimo Camisasca, da tempo impegnato a pacificare un territorio ancora lacerato dagli strascichi della Resistenza e delle giustizie sommarie che vennero fatte a partire dall’aprile 1945.

Ma chi era Rolando Rivi ? Nato il 7 gennaio 1931 a San Valentino di Castellarano  e’ stato  il primo seminarista di un seminario minore diocesano ad  essere proclamato beato e martire perché – come riconobbero, nel 2013,  i  teologi della Congregazione delle Cause dei Santi –  la talare che indossava lo faceva considerare un “nemico”.

Rivi fu rapito il 10 aprile 1945 da un gruppo di partigiani comunisti per essere ucciso dopo tre giorni di sevizie. I carnefici accusarono il beato Rolando di essere  una spia dei fascisti ma, come è ormai dimostrato,  fu più semplicemente vittima dell’odio antireligioso, che si diffuse in Emilia-Romagna in quegli anni, odio che portò all’assassinio di decine di religiosi.
Quattro giorni dopo la sua scomparsa  un partigiano che aveva assistito alle ultime ore di vita del ragazzo, tentando di opporsi alla sua fine, confessò  che cosa era accaduto:  Rivi era stato sequestrato, torturato e ucciso a Piana di Monchio, sull’Appennino modenese. Era successo il 13 aprile 1945. Il suo corpo fu ritrovato, su indicazione del partigiano comunista pentito, da suo padre.

Solo alcuni anni dopo, nel 1951, Giuseppe Corghi, che materialmente sparò e il capitano Delciso Rioli, comandante della 27ª Brigata Garibaldi “Dolo”, furono condannati dalla Corte di Assise di Lucca a ventitré anni di reclusione, sentenza che trovò poi conferma anche nei successivi gradi di giudizio, anche se degli  anni di pena ne scontarono soltanto sei grazie all’amnistia.

A far nascere il bisogno a Meris Corghi di parlare pubblicamente è stata  l’eredità ricevuta in punto di morte da un’ anziana zia, la quale a sua volta aveva  raccolto  le ultime parole del partigiano Corghi, e la confessione che ad uccidere il prete era stato lui e che si pentiva per quello che aveva commesso.

“Il perdono che oggi avviene è il segno che Dio è presente, che sta in mezzo a noi così come stava in mezzo ai suoi discepoli. Egli agisce per l’intercessione di Rolando – ha detto Monsignor Camisasca nella sua omelia – Assieme a lui, qui voglio ricordare gli undici preti della nostra Chiesa uccisi fra il ’44 e il ’46. Essi, con il loro sacrificio e il loro sangue versato, partecipano a questo stesso evento di riconciliazione. La potenza vittoriosa di Dio ha riunito ciò che il male ha temporaneamente separato”.

La decisione della figlia del Corghi apre una pagina storico-politica e  morale non indifferente. Da un lato chiamando in causa la sinistra locale che da sempre ha nascosto i numerosi omicidi ad opera dei partigiani comunisti, sino a rigettare anche le mozioni presentate dal centrodestra per l’intitolazione di una Via al Beato Rolando Rivi. Dall’altro ponendo nuovamente, alla vigilia del 25 aprile,  il tema della verità e della pacificazione, tema  negato   dagli ambienti antifascisti per evidenti interessi di opportunità politica.

Dalla Pieve di San Valentino arriva un invito che, a di là di ogni retorica celebrazione “resistenziale”, va raccolto e ben compreso. Nel nome di un seminarista, ucciso, a quattordici anni,  da un odio fratricida che alcuni vorrebbero negare e nel  segno della verità,  del perdono e della riconciliazione che dovrebbero  essere alla base della convivenza civile.

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Mario Bozzi Sentieri

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