PatriotiAlVoto. Scianca (Il Primato): “Il popolo ha fame di identità”

Adriano Scianca
Adriano Scianca

Adriano Scianca, direttore de Il Primato Nazionale nonché firma de La Verità e scrittore, il voto di marzo, con una legge elettorale contorta, che scenari prefigura?

“Uno scenario di ingovernabilità voluta, che porterà a un esecutivo tecnico e/o di larghe intese. Lo scenario centrista, “moderato” e tecnocratico a cui tutti anelano per finire di spolpare l’Italia e tenerla come campo profughi dell’Europa”.

Quale il discrimine tra i fronti in campo? Destra/sinistra? Patrioti/mondialisti? Pro Ue/anti Ue?

“Già da tempo la politica si struttura attorno all’asse ideologico fondamentale patrioti/mondialisti. Sfortunatamente, il secondo schieramento mi sembra decisamente più folto. Quanto ai patrioti, bisogna vedere se prendiamo in esame chi dice di esserlo o chi lo è realmente, in base a scelte politiche concrete che vadano in questo senso. Nel primo caso, abbiamo in Italia numerose schiere patriottiche, se invece li contiamo in base a ciò che fanno e non in base a ciò che dicono, mi pare che i devoti alla causa nazionale siano decisamente meno, anche se molto agguerriti. Ma potrebbero bastare anche solo loro”.

Il tema dell’affermazione dell’identità come è stato declinato dalle forze politiche in campo?

“Da qualche anno a questa parte si è capito che il popolo ha fame di identità e ne ha abbastanza di una casta politica cosmopolita, figlia di quella che Lash chiamava “la nuova classe”, ovvero la borghesia globale, nomade, insensibile alle problematiche dei meno abbienti ma intrisa di buoni sentimenti umanitari per chi sta dall’altra parte del pianeta. La conseguenza più concreta di tutto ciò è che parte della politica ha capito l’antifona e ha calibrato il suo messaggio su queste corde. Da qui l’inflazione del tema “prima gli italiani”. Ben venga, per carità, anche se poi, come si diceva sopra, alle parole devono seguire i fatti. Detto questo, l’identità nel senso pieno e profondo del termine è un’altra cosa, non basta certo chiudere un campo rom per poter dire di aver riconquistato l’attaccamento alle proprie radici. L’errore di una certa destra è questo, credere che, una volta cacciati via gli immigrati (cosa che peraltro quella destra non sa neanche fare), l’Italia sarà il paese del Bengodi, come se non ci fosse da lavorare su di noi, su ciò che siamo, su ciò che dobbiamo essere, come se i mali di cui soffriamo fossero solo esterni a noi e non anche interni. La differenza tra un reazionario e un rivoluzionario è anche questa”.

Le recenti sconfitte del Front National in Francia che lezione consegnano ai patrioti italiani?

1) Che se la necessità di svecchiare e modernizzare il messaggio è necessaria, una fissazione troppo maniacale per la “presentabilità” è inutile e controproducente;

2) Che, soprattutto a certi livelli, occorre preparazione maniacale e non dilettantismo;

3) Che non bisogna scegliere tra i temi identitari e quelli sociali, ma cercare di declinarli insieme;

4) Che la vittoria è figlia della conquista della società, e non viceversa.

Ci sono più forze politiche schierate nell’area sovranista: è possibile immaginare punti di contatto sul piano programmatico tra forze che si stanno avversando in questa contesa elettorale?

“In questa contesa elettorale i giochi sono fatti. In generale, ogni aggregazione di forze sui temi della sovranità nazionale può essere positiva, ma siamo al solito discorso: c’è la voglia di portare fino in fondo certe parole d’ordine? C’è la voglia di rompere certi equilibri? C’è la consapevolezza che non è più il momento di carrozzoni in cui infilare tuto e il contrario di tutto?”.

Il ritorno del fantasma antifascismo. Dimenticata la lezione di Renzo De Felice?

“Una campagna assurda, grottesca, indecente, pericolosa. La sinistra oggi è completamente assorbita da un dibattito surreale: quello tra chi vuole sciogliere i movimenti avversari secondo il diritto (un diritto tutto da scrivere, peraltro, perché le leggi attuali parlano chiaro circa la legittimità di certi movimenti) e chi, molto più semplicemente, ritiene che la Costituzione autorizzi il linciaggio dell’avversario, cosa candidamente ammessa da partiti, giornali e intellettuali più che “rispettabili”. Citare De Felice mi sembra francamente troppo, è come immergere lo storico in uno stagno da cui merita di stare lontano: il fascismo di cui si parla qui non è un qualcosa che si possa studiare scientificamente, come ha fatto lo storico reatino, è un puro fantasma, come giustamente dici tu, un tabù, nel senso originario del termine: qualcosa di terribile, un interdetto ancestrale, di cui però si è perso il senso”.

Quale la forza politica patriottica in Europa che ha la piattaforma organizzativa e programmatica più efficace?

“Chi conosce il mio percorso conoscerà già la risposta, ma assicuro che non si tratta di una risposta data per spirito di corpo, ma di una intima consapevolezza che mi sforzo di far essere oggettiva: la risposta è ovviamente CasaPound Italia, un movimento la cui importanza storica, del tutto a prescindere dai prossimi risultati elettorali, sarà forse chiara solo tra qualche anno. In Europa citerei sicuramente i patrioti francesi del Bastion Social, quelli spagnoli di Hogar Social e anche varie situazioni est europee a cui noi forse abbiamo guardato con lenti sbagliate e con pregiudizi un po’ snob”.

Il media più originale nel seguire questa tornata?

“Che domande… il Primato Nazionale”.

La sorpresa di questa campagna elettorale?

“Dato che Cpi per me non è una sorpresa, direi Silvio Berlusconi, nel senso che non credevo che avesse ancora la forza di condizionare un’intera campagna elettorale, dominare la scena, improvvisarsi pompiere dopo una vita da piromane, tenere in scacco un’intera coalizione e neutralizzare praticamente ogni possibile novità emersa in questi anni nella destra mainstream”.

La delusione?

“Francamente direi la Lega: Matteo Salvini è un grande comunicatore e, per una brevissima stagione ha convogliato sul suo progetto le speranze di tantissimi autentici sovranisti. Ma la politica non è solo comunicazione, è decisione, è tracciare vie, rompere schemi. Riproporre lo schema del ’94 senza idee, senza forza, senza voglia, in vista di una resa annunciata alle forze tecnocratiche non mi sembra un gran risultato”.

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