PalloneAnnoZero/3. Altro che milioni di fan, la Serie A in Cina è la grande assente (per colpa nostra)

Tavecchio

Terza puntata di PalloneAnnoZero, il ciclo di interventi sullo stato di salute del paziente calcio. Nicholas Gineprini, direttore di Blog Calcio Cina e autore del libro “Il sogno cinese. Storia ed economia del calcio in Cina”, spiega perché la commercializzazione del nostro calcio in Oriente è un fallimento. Da tempo. 

In questi ultimi mesi si è parlato a più riprese del fallimento sportivo, non solo calcistico, dell’Italia, con l’eliminazione dal mondiale da parte della Svezia che rappresenta solamente la punta dell’iceberg di un declino iniziato oltre vent’anni fa. Per anni abbiamo definito la nostra Serie A il campionato più bello del mondo e lo stesso primato lo conferivamo alla nostra scuola allenatori, ma viviamo di ricordi del passato, di quegli anni ’90 che vedevano veramente il calcio italiano come cuore del sistema economico pallonaro, ma era destinato a fallire per la sua incapacità di rinnovarsi.

Circa venti anni fa il nostro campionato era quello più seguito fra il pubblico asiatico che stava scoprendo il calcio europeo. Ora la Serie A è solo un prodotto di nicchia nei due principali mercati, quello americano e cinese, e questo ha scavato un abisso fra i diritti Tv esteri che percepiamo noi e quelli di Spagna (il doppio) e Inghilterra (che supera il miliardo di euro), ed anche la Germania nei prossimi due anni è destinata a effettuare il sorpasso. Anche questo, a mio avviso è un fallimento clamoroso, come l’eliminazione dal mondiale, in quanto il nostro prodotto è passato da essere il più famoso del mondo a non essere quasi più visto all’estero.

Negli Stati Uniti la Serie A in media è vista da 22mila spettatori a partita, circa un sedicesimo rispetto alla Premier League, mentre in Cina il nostro campionato è trasmesso in diretta per circa 320 ore all’anno contro le 3800 del campionato inglese e le 1500 di Liga e Bundesliga. L’abisso che vi è fra l’Italia e gli altri paesi in questo contesto creerà anche un gap economico che diverrà sempre più rilevante, che potrebbe accentuarsi pericolosamente subito con la questione dei diritti tv interni che ancora non si è sbloccata.

In questi ultimi anni, con la riforma governativa sul calcio, Federazioni e Club europei si sono fiondati in Cina trovando una miniera d’oro nella cooperazione bilaterale… tutti tranne l’Italia. Nel novembre del 2016 l’ex presidente Federale Carlo Tavecchio aveva firmato un preaccordo con la Chinese Football Association per portare in Cina la “Scuola Coverciano”, ma ad un anno di distanza i nostri vertici federali non hanno fatto assolutamente nulla su questo fronte, facendo decadere l’accordo su base nazionale. Per quanto riguarda gli altri paesi sono stati addirittura i capi di stato a muoversi in prima linea per siglare accordi con la Federazione Cinese: Merkel per la Germania e Mauricio Macri per l’Argentina in un’ottica di cooperazione che riguarda più settori.

Gettyimages official

Una delle credenze del nostro calcio è data dal fatto che i nostri Top club sono amati dal pubblico cinese, mi riferisco in particolar modo a Milan e Inter (che sono di proprietà cinese) e la Juventus. E’ curioso notare infatti che ogni club che si rispetti sul globo dichiara di avere 100 e passa milioni di fan in Cina. Se si fa la somma dei tifosi dichiarati probabilmente si supera ampliamente la popolazione cinese.

Un conto è conoscere un brand, mentre un altro è consumarlo. In Cina, essendoci la censura sui social occidentali (Facebook e Twitter) le attività di promozione si fanno su Sina Weibo e WeChat, che sono i due principali social cinesi. Ebbene, in questo contesto i nostri club fanno molta difficoltà: Milan e Inter sono sui 500mila follower, la Juve poco sopra 100mila, mentre le due di Manchester a 8 milioni. Manca invece il profilo della nostra Serie A su Sina Weibo per promuovere il nostro campionato: lo studio della Mailman Group da oramai tre anni nei rapporti annuali sottolinea questa mancanza definendola “real danger” dal punto di vista dell’immagine. In questo caso, la Lega di Serie A, non è che ha sbagliato la strategia di comunicazione, questa proprio non esiste.

La scorsa stagione si è invece tentato goffamente di far giocare Milan-Inter e Roma-Lazio alle ore 12:30, per favorire il pubblico asiatico, ma questa iniziativa non ha riscosso molto successo a livello di ascolti, certamente nettamente sotto le aspettative. Gli orari delle partite sono importanti per aprirsi ai nuovi mercati, ma non bastano, serve saperci fare con questo nuovo pubblico.

Guardiamo a quello che hanno realizzato gli spagnoli per l’ultimo Clasico a Shanghai: in quell’occasione La Liga, che nella municipalità dispone di un ufficio di rappresentanza, ha trasmesso la partita in un parco, creando vari eventi con sponsor e ambasciatori come Eric Abidal. Prima della messa in onda del match (che in Spagna si giocava alle 13:00) si è tenuta una conferenza stampa nella quale si è annunciata una Serie TV prodotta dalla Liga per il mercato cinese e l’ampliamento dei programmi di formazione nelle scuole.

La nostra Lega di Serie A e la nostra Federazione non hanno uffici di rappresentanza all’estero, non hanno programmi di espansione verso i nuovi mercati. Non hanno alcun tipo di strategia e anche per questo motivo il nostro prodotto è collassato e non ha più alcun appeal. Serve una classe dirigente che conosce bene il mercato e ne sa leggere i cambiamenti, ma molto probabilmente, morto un Tavecchio se ne farà un altro e ci aspetteranno altri anni di nulla in cui continueremo a dirci quanto siamo bravi.

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Nicholas Gineprini

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