RitrattiDi#Calcio. Gigi Meroni, l’ultimo volo della farfalla granata

Gigi Meroni in azione con la maglia del Torino
Gigi Meroni in azione con la maglia del Torino

Ogni 15 ottobre i tifosi del Toro sono lì, con le sciarpe, i mazzi di fiori, gli occhi lucidi.

In corso Re Umberto, a Torino, dove una domenica sera del 1967 le ruote di due automobili misero fine alle evoluzioni della farfalla granata. Gigi Meroni, grande talento del Torino e della Nazionale, il “beat” del calcio italiano, morì prima ancora di essere trasportato in ospedale.

Stava attraversando la strada insieme al compagno di squadra Fabrizio Poletti per dirigersi al solito bar: Meroni percorse la prima metà della carreggiata, fermandosi in mezzo al corso in attesa del momento buono per passare nell’intenso traffico. Dalla sua destra passò un’auto troppo vicina e istintivamente i due calciatori fecero un passo indietro. Poletti fu urtato di striscio da una Fiat 124 Coupé, mentre Meroni fu colpito in pieno alla gamba sinistra; sbalzato dall’impatto e proiettato dall’altra parte della carreggiata, dove venne travolto da una Lancia Appia.

Finiva così, in una serata d’autunno che avrebbe dovuto essere felice (nel pomeriggio il Toro aveva battuto 4-2 la Sampdoria) la parabola di un giovane che è stato qualcosa di più di un atleta di successo. Intanto Gigi Meroni, nato a Como il 24 febbraio del 1943, era un grande calciatore. E se il destino non l’avesse fermato, forse sarebbe diventato grandissimo: a soli 24 anni aveva già totalizzato 145 partite in serie A con le maglie di Torino e Genoa (più 25 in B, con il Como), segnando 29 gol; e 6 partite e 2 gol con la casacca azzurra. Ma oltre ad essere un giocatore particolare, elegante e funambolico, Gigi era pure un uomo fuori dal comune.

Meroni in una giornata al mare

Anticonformista, geniale, dotato di grande sensibilità artistica. Portava i capelli lunghi e i baffi alla Ringo Starr, viveva in una mansarda con Cristiana, moglie divorziata di un regista allievo di Fellini, e sul comodino teneva un teschio, che avrebbe dovuto portargli fortuna. Così in quegli anni lo descriveva il giornalista sportivo Vladimiro Caminiti: «Noi non siamo per i capelloni, ma ne conosciamo uno e si tratta di un gran bravo ragazzo, uguale a tantissimi della sua età. In più ha i capelli e i ghiribizzi. Si disegna i vestiti e poi li porta al sarto personalmente seguendone la confezione. Dipinge ma non sa dire fino a che punto è artista… Si chiama Meroni, gli amici lo chiamano Gigi».

Sembrano parole d’altri tempi e in effetti quello scorcio di fine Anni Sessanta agli occhi nostri appare davvero come un’epoca lontana. Il 1967, ad esempio, è l’anno dell’offensiva fallimentare degli Stati Uniti sul delta del Mekong (durante la guerra persa in Vietnam), del conflitto del Biafra, della guerra dei Sei Giorni tra Israele, Egitto Siria e Giordania. In Grecia i colonnelli prendono il potere con un golpe, mentre il cardiochirurgo sudafricano Barnard esegue il primo trapianto di cuore della storia. Ma è anche l’anno dell’uccisione di Che Guevara in Bolivia, della morte di Luigi Tenco al festival di Sanremo, del primo album dei Pink Floyd e della pubblicazione di Sgt Pepper’s and Lonely Hearts Club Band da parte dei Beatles.

Meroni è, in questo senso, pienamente figlio del suo tempo. Molto più di tanti altri calciatori, che all’epoca si barcamenavano a stento fra la lettura della Gazzetta dello Sport, il nuovo modello di auto sportiva e la vacanza in Riviera o sulla costiera romagnola. Eppure Gigi non si atteggia ad “intellettuale” e non è politicamente impegnato. Vuole soltanto essere un ragazzo libero. Nell’aprile del 1965, convocato in Nazionale per una partita con la Polonia, viene aspramente criticato dai giornali per il suo look bizzarro e dissacrante. Il Ct Fabbri si vede costretto a chiedergli di sistemare l’acconciatura, ma Meroni si rifiuta: «È un attentato alla vita privata – commenta – Non è questione di capelli o gusti musicali, è questione di libertà». La stessa libertà che l’aveva portato a convivere con una ragazza separata dal marito, Cristiana, quando il divorzio ancora era peccato e l’adulterio reato da codice penale. La critica sferra violenti attacchi alla sua vita privata, ma lui non ci fa caso e alterna atteggiamenti disincantati con altri palesemente provocatori: come girare in via Roma, nel ”salotto buono” torinese, con una gallina al guinzaglio.

Da un punto di vista tecnico è un’ala destra veloce e sgusciante, che non disdegna di puntare al centro e tirare in porta. Gioca con i calzettoni abbassati, come Sivori, e stampa e tifosi lo accostano apertamente alla stella nordirlandese George Best, attaccante del Manchester United, al quale è accomunato anche per una certa stravaganza al di fuori del rettangolo di gioco. Fra i suoi estimatori figura pure l’avvocato Agnelli, che avrebbe voluto portarlo in maglia bianconera e pur di vederlo giocare deve sorbirsi le partite del Toro.

La sua morte provoca nel calcio italiano una vera ondata di emozione e getta Torino in uno stato choc. A molti tifosi granata sembra di rivivere la tragedia di diciott’anni prima, lo schianto del Grande Torino a Superga. Ai funerali partecipano 20 mila persone e persino i detenuti del carcere delle Nuove fanno una colletta per mandare una corona di fiori. L’unica nota stonata arriva dalla Chiesa che stigmatizza il gesto del cappellano del Toro, don Ferraudo, che celebra le esequie religiose per un «pubblico peccatore».

Quel che avviene dopo appartiene più alla mistica granata che alla cronaca sportiva: la domenica successiva si gioca il derby con la Juventus e nel silenzio funereo delle tifoserie di entrambi gli schieramenti il campo viene inondato di fiori gettati da un elicottero, poi raccolti sulla fascia destra, quella di Gigi. Finisce 4 a 0 per il Toro, con una tripletta di Nestor Combin, l’amico più caro di Meroni, e un gol di Carelli, il giovane che ne indossava la maglia numero 7. Cose strane, cose da Toro. Così come un altro paio di coincidenze davvero sorprendenti: si chiamava Luigi Meroni anche il comandante dell’aereo che si schiantò a Superga nel 1949; mentre uno dei due investitori di Gigi era un ragazzo di nome Attilio Romero, tifosissimo granata, che molti anni dopo diventerà presidente del club torinese e lo porterà al fallimento del 2005.

Così, da decenni, ogni 15 ottobre decine e decine di tifosi si raccolgono in corso Re Umberto, nel punto dove venne investita la “farfalla granata”, come Meroni è stato definito in un fortunato libro scritto da Nando Dalla Chiesa. In occasione del quarantennale della morte, il Comune di Torino gli ha eretto anche un piccolo monumento. Di lui ha scritto Gianni Brera: «Era un simbolo di estri bizzarri e libertà sociali in un paese di quasi tutti conformisti sornioni».

La copertina del saggio di Giorgio Ballario: tra le foto c’è anche Gigi Meroni

(Dal libro “Fuori dal coro. Eretici, irregolari, scorretti” di Giorgio Ballario, Eclettica Edizioni, 2017)

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Giorgio Ballario

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