La Marina militare italiana è un racconto che merita sempre una rinnovata attenzione. In alcuni casi la documentazione storica è rimasta chiusa negli archivi statali e il leggere oggi una ricostruzione, basata sui documenti, aumenta l’interesse per la grande istituzione militare. Il recente libro di Fabio De Ninno – “Fascisti sul mare. La Marina e gli ammiragli di Mussolini”- visita un mondo militare dal 1861 al 1945 e segue idee, statistiche, telegrammi di ministri e ammiragli che sognarono la leadership italiana nel Mediterraneo. Le testimonianze mostrano i sentimenti del tempo di una forza militare, che, tra il 1919 e il 1920, non accettò i pallidi trattati di pace, fu vicina al d’Annunzio ribelle fiumano e preparò un piano di guerra navale contro la Jugoslavia.
Fu il tempo in cui gli ammiragli andavano a braccetto con la politica in attesa di un “governo migliore senza compromettere il prestigio nazionale… ma i tempi non erano maturi. Mancava un attore migliore come Mussolini, il quale in seguito sarebbe stato per i militari l’unico politico che ‘vedeva chiaro’ nella tempesta del dopoguerra”, scrive il De Ninno. Nel Primo dopoguerra le folate socialiste soffiavano sugli equipaggi; i comandanti di vascello erano di temperamento “decisamente antidemocratico”; i marinai, a La Spezia, simpatizzavano con i fascisti durante i tafferugli del 1922. Ed ecco i momenti delle venture marciste per cui l’ammiraglio Thaon di Revel scrisse al sovrano che non si poteva fare altro: o appoggiare il Fascismo o reprimerlo.
E non mancano gli episodi all’italiana, cioè pressioni per avere più naviglio, tagli ai bilanci per la difesa delle coste, l’ammiraglio che si incavolava e si dimetteva. Però, Mussolini accontentò tutti. Così la forza militare “spinta dall’apparente successo interno ed esterno del regime, si aprì al fascismo, come dimostrò il tesseramento al partito degli ufficiali, specie nei gradi superiori e la fascistizzazione dell’Accademia navale di Livorno.”
Il Duce fu più ammirato del Re tra i marinai. Nelle altre forze armate, invece, gli ufficiali monarchici vigilavano. Nondimeno, negli anni Trenta, il consenso verso il regime cresceva e la Marina rimase sì “estremamente leale al trono” ma, nello stesso momento, apprezzava “a pieno i benefici che il fascismo apportava al paese e alle forze armate”, come scrisse l’addetto navale britannico. In poche parole, si delineò un rapporto favorevole tra Marina e Fascismo in una fase storica espansiva nata con gli accordi internazionali di Washinton del 1922.
Nel capitolo conclusivo – “La Marina di Mussolini verso la sconfitta (1937-1940) -, lo storico De Ninno ricorda che il paese non poteva sopportare un impegno bellico lungo e mondiale considerate la scarsezza di materie prime e l’assenza di un grande apparato industriale. La ricerca, inoltre, non entra nelle domande che hanno appassionato per anni gli storici e non solo, ossia: Se la Marina avesse avuto il radar all’inizio del conflitto, cosa sarebbe accaduto? La scarsità di nafta fu il vero problema delle navi italiane? Con due portaerei italiane nel Mediterraneo cosa sarebbe successo? Con i se non si fa Storia. Tuttavia, proprio Giorgio Giorgerini – in “Da Matapan al Golfo Persico” (1989) – smonta diversi luoghi comuni storici per rispondere a questi se.
Dopo tale pubblicazione, piacerebbe leggere una ricerca sugli uomini della Marina in guerra: gli uomini che fecero il loro dovere e accarezzarono, per un po’, il volto della vittoria; gli uomini della X Flottiglia Mas, un nome militare che da solo narra una tradizione marinara alta; gli uomini della beffa di Alessandria d’Egitto del 1941, Durand de La Penne, Binachi, Marceglia, Schergat,.. ovvero gli italiani sul mare e nelle tempeste del secolo breve.