Usa. Perché l’illogica guerra alle statue del passato rafforzerà Donald Trump

trump-tvIl caso di Charlottesville nelle scorse settimane ha avuto un’eco enorme e oltreoceano. Ma confondendo strumentalmente politica e storia si aiuta Trump. Come dobbiamo comportarci con le vestigia del passato?

Chi negli USA vuole rimuovere le statue confederate (ma anche la bandiera della confederazione) lo fa in nome di un principio apparentemente semplice: sono simboli dello schiavismo, dunque del razzismo e come tali vanno eliminate. La schiavitù è sbagliata? Certamente sì. La statua a un generale è un monumento alla schiavitù? Certamente no.

Il ragionamento è privo di contestualizzazione storica. Anzitutto gli stati confederati non furono affatto l’ultima occasione di razzismo istituzionalizzato sul suolo americano: la storia recente  (e recentissima) dimostra l’opposto. Bisognerà procedere anche alla rimozione di ogni ricordo di ogni politico, pensatore o personaggio pubblico che nella lunga (e non terminata) marcia dei diritti civili si è trovato, pienamente o incidentalmente, dalla parte sbagliata della storia, senza curarsi del contesto in cui ciò avveniva? E se si cominciasse da quel F.D. Roosevelt, tra i presidenti più amati del Novecento, che nel 1936 non ricevette alla Casa Bianca il pluricampione olimpico Jesse Owens, afroamericano?

Le discriminazioni razziali non finiscono neppure ora, due secoli dopo quella guerra. Quella che terminò (legalmente) fu la schiavitù, che non era però solo un fenomeno culturale. Nel 1800 si affrontavano non semplicemente questioni di principio, ma prima ancora sistemi produttivi ed economici. L’economia del sud degli Stati Uniti viveva sulle spalle degli schiavi, quella del nord invece no. I soldati combattevano (anche) per questo. L’ipocrisia allora è manifestare contro la statua di un generale perché schiavista, magari brandendo celebri cellulari Made in China, fabbricati praticamente da schiavi. Chi dice no a un soldato confederato dice no anche al nuovo schiavismo o il fatto che gli operai cinesi non siano cittadini americani rende la loro situazione più tollerabile di una statua?

Antichi romani, greci, egizi: tutte civiltà costruite sulla schiavitù. I loro monumenti sono apologia di schiavismo? O chiaramente tutte questi periodi storici sono stati anche altro e non possono essere ridotti al solo schiavismo? Qualcuno dirà: erano altri tempi, ben più remoti di quelli della guerra civile americana; infatti ogni epoca della storia è stata contraddistinta da atrocità inumane. Conducendo agli estremi questo ragionamento, il nuovo obiettivo sono le statue di Cristoforo Colombo. Il motivo? Lui è l’inizio di tutto, lui ha portato l’Europa in America e con essa schiavitù e genocidio dei nativi americani.

L’evidenza è che non sia la componente storica al centro di quello che sta avvenendo. Gli ultras anti-statue hanno un nemico istituzionale: il presidente Trump, che ha vinto anche grazie ai voti di quei bianchi nostalgici della confederazione. Ma attaccarlo così non è molto furbo sul piano strategico. Secondo un recente sondaggio, più della metà di tutti gli statunitensi e circa il 70% di quella white working class che ha consegnato la vittoria a Trump interpretano la bandiera confederata più come un simbolo del Sud degli USA che come un simbolo di razzismo. Così si concede a The Donald la possibilità di ergersi a custode della storia e dell’identità americana e del sud specialmente.

La guerra civile non si è mai davvero chiusa, ma non si è mai neppure davvero riaperta perché i vincitori hanno permesso agli sconfitti di conservarne memoria. Questo reciproco riconoscimento, la possibilità di essere diversi, ma statunitensi, è la matrice stessa degli USA. Proibire l’identità folk legata agli stati Confederati nella terra della libertà significherebbe martirizzarla e dunque rafforzarla. Ottenendo l’effetto opposto a quello dichiarato.

La riforma sanitaria, il riscaldamento globale o i disequilibri economici spaventosi: questi sono argomenti (seri) rispetto ai quali Trump può essere messo in difficoltà. Attaccarlo sulle statue dei generali sudisti potrebbe produrre l’effetto di radicalizzare ancora di più l’elettorato USA, creando l’ambiente ideale per the Donald e dandogli qualche possibilità (che altrimenti non avrebbe) di rielezione.

@barbadilloit

Andrea Tremaglia

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