Difesa. Dragon Fire: in Kossovo si lavora ancora, malgrado il silenzio dell’opinione pubblica

 

Belo Polje, 2 giugno 2015. Celebrazione della Festa della Repubblica Italiana.
(da: cancelloedarnonenews.it)

L’11 agosto ha preso il via l’esercitazione Dragon Fire a Zegovac; è stata condotta dal Battaglione Riserva Tattica della KFOR, unitamente ad altre unità KFOR per esplicare alle unità (partecipanti, nda) come pianificare e condurre un assalto aereo ed operazioni ‘cordon and search’ e per accrescere l’inter-operabilità fra i contingenti multinazionali” si legge in una nota della NATO relativa al teatro kosovaro dove, dal 1999, l’Alleanza è presente per mantenere equilibrio e stabilità in un’area storicamente segnata da tensioni sociali.

La missione “L’esercitazione è stata guidata dal Maggiore Generale Giovanni Fungo, che ha sottolineato l’importanza dell’addestramento collettivo per assicurare flessibilità capacità di risposta alla ‘KFOR reserve force’ ” continua la nota, evidenziando la costanza del quasi ventennale impegno in un angolo di mondo a cui, ormai, l’opinione pubblica pare non essere più interessata.

Il Generale di Divisione dell’EI Giovanni Fungo, dal settembre 2016 comandante KFOR

Un po’ di storia “La mancanza di unità ed il tradimento in Kosovo continueranno ad accompagnare il popolo serbo come un destino diabolico per tutto il corso della sua storia. Persino nell’ultima guerra, questa mancanza di unità ed il tradimento hanno gettato il popolo serbo e la Serbia in una agonia, le conseguenze della quale in senso storico e morale hanno sorpassato l’aggressione fascista“. Questa è una parte del discorso tenuto da Slobodan Milosevic il 28 giugno 1989 sulla piana di Gazimestan (Kosovo Polje), nel seicentesimo anniversario della omonima battaglia nella quale i cavalieri serbi, schierati contro gli ottomani, furono sconfitti anche a causa del tradimento del popolo kosovaro.

Religione e nazionalismo Un odio antico serpeggia nei Balcani di fine anni Ottanta; la dissoluzione della Repubblica socialista, poi, fa esplodere rancori sopiti nel tempo in due guerre, la prima del 1990-1994, la seconda proprio contro il Kossovo nel 1999. Ma c’è dell’altro: dietro all’ultimo conflitto si celerebbe, secondo Belgrado, anche il pericolo di un estremismo islamico coperto dalle insegne dell’UCK (Ushtria Çlirimtare e Kosovës – Esercito di Liberazione del Kossovo) organizzazione che, comunque, dopo il sostegno nella lotta contro la Repubblica Federale Jugoslava è invitata, dalla Comunità internazionale, a sciogliersi e a disarmarsi.

Oggi A distanza di quasi vent’anni, il Kossovo è in pace? Quando si parla dei popoli balcanici  “pace” appare, quasi, parola azzardata non perché manchi la volontà, semmai le radici di quegli antichi odi di cui sopra non sono ancora del tutto divelte. Ecco perché la KFOR è ancora lì ed ecco il motivo per il quale le esercitazioni continuano. Sì, la Serbia di oggi è molto cambiata, ha un suo ruolo internazionale (ad esempio partecipa sotto insegne ONU alla missione anti pirateria nel Corno d’Africa), ha una società più dinamica di quanto non si pensi (le donne ricoprono incarichi importanti), ma le ferite del 1999 sono aperte e fresche e, come ribadito nel marzo scorso dal Primo Ministro Vucic:

La Serbia non chiederà mai di far parte di una alleanza che ha distrutto il nostro Paese e ha ucciso i nostri bambini, nè farà parte di una qualche altra alleanza (…) Non avverrà mai più un’aggressione contro il nostro Paese senza una nostra risposta chiara e forte“. E con il Montenegro nella NATO da maggio, gli equilibri potrebbero mutare velocemente in quell’angolo di mondo che una testarda, e poco attenta, opinione pubblica considera del tutto pacificato.

 

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