La scommessa vinta da Alessandro Tomasi, sindaco della destra sociale nella rossa Pistoia

La festa per l'elezione del neosindaco di Pistoia, Alessandro Tomasi della destra sociale
La festa per l’elezione del neosindaco di Pistoia, Alessandro Tomasi della destra sociale

Una analisi della vittoria sorprendente di Alessandro Tomasi, cresciuto nella destra sociale, nella rossa Pistoia

Mentre alla tornata elettorale delle amministrative dello scorso 25 giugno in molte città la democrazia ha compiuto il suo normale corso, consentendo al cdx di reinsediarsi al governo secondo la logica dell’alternanza; a Pistoia è accaduto qualcosa di diverso: dopo sette decadi di monocromia rossa, a tratti rossissima, finalmente la coalizione del centrodestra, guidata da Alessandro Tomasi, ha vinto le elezioni, suscitando tanto le euforiche e commosse reazioni dei sostenitori, quanto la costernazione, lo spaesamento e, si direbbe, un certo nervosismo degli avversari. Parliamoci chiaramente: pochi sono stati coloro che avrebbero scommesso sulla vittoria di Tomasi; e molti, come chi vi scrive, a credere tuttora che sia stata resa possibile in ultima istanza per intervento della Divina Provvidenza. Ciò tuttavia non significa che dietro tale successo non vi sia stata un’accorta e ben ponderata strategia, un progetto che merita d’essere esaminato proprio in ragione della sua straordinaria riuscita e del suo interesse politologico.

Il progetto

Incominciamo dalla natura del progetto stesso: apparentemente Alessandro Tomasi, uomo formatosi culturalmente e politicamente alla scuola della destra sociale, che si propone come candidato di una coalizione di centrodestra con il supporto importante di una lista civica, non ha niente d’originale o di significativo, oltre al solito refrain per cui “tutti uniti si vince”. Ma per coloro che, come chi vi scrive, ha avuto la fortuna di condividere con Tomasi una parte del suo percorso umano e politico, e di partecipare a quest’impresa straordinaria, le cose si configurano in maniera decisamente più complessa. In particolare a Tomasi è stato offerto sostegno anche da persone, e sono state numerosissime, che non sono affatto ascrivibili alla destra, e che addirittura l’hanno talvolta combattuta direttamente. La questione che affiora spontaneamente consiste allora nel comprendere come sia stato possibile che una parte importante dell’elettorato di sinistra abbia abbandonato i suoi naturali referenti politici, e lo abbia fatto proprio al momento decisivo del ballottaggio, che si configura come un aut-aut, così assumendosi consapevolmente la responsabilità di una scelta che, sebbene a posteriori, avrebbe determinato la sconfitta della sinistra di governo.

Non credo che quella parte di elettorato di sinistra abbia voluto accordare fiducia soltanto alla “persona” Alessandro Tomasi, alla biografia del candidato, per così dire; bensì che tale scelta sia maturata anche in ragione della proposta propriamente “politica” offerta dal candidato, che nel suo programma elettorale aveva incluso soluzioni riconducibili a certe istanze sociali peculiarmente di sinistra. In definitiva, il caso di Pistoia, proprio in ragione della sua straordinarietà, ci suggerisce che nelle attuali circostanze storiche il diluvio progressista possa essere, se non arrestato, quantomeno arginato accogliendo in seno ai programmi elettorali certe istanze sociali concrete che, pur essendo riconducibili all’alveo culturale della sinistra, assumono un nuovo potenziale se gestite da candidati di cdx.

La seconda questione che merita d’essere analizzata, riguarda la responsabilità che i candidati eletti del centrodestra devono assumersi riguardo all’avvenire. Vorrei in proposito procedere dall’ottimo articolo qui pubblicato il 27 giugno da Emanuele Mastrangelo.

L’autore lancia una provocazione legittima e utile quando afferma che i successi di questa tornata elettorale devono essere considerati una possibilità che tutti coloro di centrodestra devono cogliere per far attecchire il germe dei loro valori nel terreno fertile della vittoria elettorale, affinché possa quantoprima produrre i frutti che potranno salvarci dall’inedia ideologica dei progressisti. Per riuscire in quest’impresa, sarebbe necessario adottare una strategia gramsciana di occupazione del potere, che ci permetta di riscrivere l’agenda culturale del nostro paese.

In questo senso l’autore dell’articolo ha perfettamente ragione nel consigliare l’adozione di un atteggiamento improntato alla “fermezza” ed al “coraggio”, piuttosto che ad una moderazione foriera di compromessi potenzialmente suicidi. Tuttavia ritengo che, prendendo spunto dal caso straordinario di Pistoia, sia opportuna una precisazione: è evidente che siamo infine giunti ad un nuovo evo politico, in cui i vecchi steccati ideologici sono diventati troppo angusti e perciò superati, e in cui nuovi paradigmi ermeneutici attendono con ansia d’essere formulati, per consertire a noi di orientarci in una situazione storica originale. Se fino a pochi anni fa certi elementi potevano ancora avere un qualche valore ermeneutico, oggi hanno subito profonde modifiche o sono stati sostituiti, così che la materia con cui ci ritroviamo a pensare sia plastica e malleabile, e che chiunque si dedichi alla politica debba assumere il ruolo di demiurgo piuttosto che quello di interprete, quello di artigiano piuttosto che di amministratore. Pertanto vorrei invitare alla prudenza tutti coloro che per eccesso d’entusiasmo – e purtroppo anche per una infelice e nefasta concupiscenza elettorale – credono d’aver scoperto la pietra filosofale della politica, la giusta combinazione alchemica per accedere alla vittoria solo in ragione del fatto che “tutti uniti si vince”: perché in verità molto lavoro ci attende per costruire per la Destra un ponte culturale verso l’avvenire.

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Niccolò Mochi-Poltri

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