Dalla sinistra culturale, sia ante che post caduta del muro di Berlino non ci si può aspettare alcuna difesa del concetto di nazione. Per i post-gramscisti è una costruzione borghese, una sovrastruttura da cancellare. Per i liberisti all’americana, è una coccarda da esibire all’estero come un vezzo. Niente di più, niente di meno. La globalizzazione è sempre l’obiettivo finale. Sul come realizzarla ci sono delle differenze, ma il traguardo è sempre quello.
A destra, la battaglia dello ius soli può rappresentare una grande occasione per ritornare a spiegarsi. Per cercare di essere, di nuovo, un laboratorio di idee e non un distributore automatico di slogan. Attorno a un’idea di nazione, che va spiegata e non urlata, coagulare di nuovo tutti gli scogli della destra diffusa che da tempo ormai sono alla deriva. Va da sè che per far questo occorre farsi forza culturale, chiaro. E avere il coraggio di dire, tranquillamente, che essere italiani non vuol dire indossare l’azzurro quando si giocano i mondiali, né mangiare la lasagna alla domenica.
Chi è davvero in difficoltà il Movimento Cinque Stelle. Il dibattito sullo ius soli è (potenzialmente) distruttivo per la creatura di Grillo che, con una classe dirigente di sinistra macina consensi a destra. Astenersi perché non c’è abbastanza Europa in questa legge è posizione che appare incomprensibile se letta insieme alle ultime dichiarazioni di Virginia Raggi, che a Roma ha intenzione di essere più rigida sui temi dell’immigrazione, dell’accoglienza e della solidarietà.
In realtà è lo iato, profondissimo, che separa una (aspirante) classe dirigente dal suo corpo elettorale. E a cui si cerca di mettere una pezza che, se possibile, è forse anche peggiore del buco. Dietro la cortina postideologica, tra i dirigenti pentastellati si nasconde un pensiero che è fin troppo simile a quello stesso, identico, propugnato dal Partito democratico.
@barbadilloit