Cinema/Cult. “L’odore della notte” di Caligari: ritratto dell’amore tossico per il potere

Valerio Mastandrea e Marco Giallini
Valerio Mastandrea e Marco Giallini

Nel reparto dei film di culto, “L’odore della notte” non può mancare. Un film che radiografa gli anni dell’immediato riflusso dopo il rapimento Moro, squadernando le vicende della banda dell’arancia meccanica, una batteria di delinquenti di borgata che per cinque anni mette a ferro e fuoco la borghesia romana, simbolo di una dolce vita sull’orlo della decadenza. Il loro capo, Remo Guerra, per ironia della sorte fa il poliziotto. Mostra un carattere ambiguo, mercuriale, schizoide, capace di esternare la rabbia più veemente se detonata al momento giusto.

Atmosfere alla Chandler

L’odore della notte combacia con l’odore del pulp, del romanzo noir, hard boiled, alla Raymond Chandler, trasforma fatti di cronaca in leggende, materiale per prelibati romanzi thriller e avvincenti saggi con taglio narrativo. « Non sono entrato nelle Brigate Rosse. Era così facile contattare Curcio o Franceschini. Credo mi abbia salvato il cinema. La cosa che anche allora pensavo era: fai la guerriglia in un paese col capitalismo avanzato, è chiaro che perdi». Claudio Caligari, regista, documentarista, etnografo a suo modo, sociologo, era fatto così. Lapidario, meticoloso, psichedelico e trascendente, come il suo cinema. Grottesco. Da Arona a Roma, lo spazio di un’assonanza, folgorato sulla via della Nouvelle Vogue. Leggenda e realtà spesso si intersecano ed estraggono svariate vicende dai molteplici coni d’ombra in cui sono state conficcate dallo svolgersi della storia.

La cinematografia di Caligari

Caligari inizia a girare documentari sul movimento del ’77, il movimento dei nongarantiti, i  figli della gauche caviar, che trasformano il situazionismo urbano in un confuso concentrato di violenza esasperata da chiassose proteste basate su un finto processo di autocoscienza ed autodeterminazione. Serpeggia, nell’alveo dell’orda psichedelica, il fantasma dell’eroina, che vede cadere molti giovani, di buona famiglia ma anche del proletariato. Dopo una serie di documentari incentrati proprio sulla droga (uno dei quali ambientato a Torino) Caligari passa all’azione politica attraverso la macchina da presa e nasce Amore Tossico, incisivo e corale ritratto dei consumatori di eroina (molto prima dell’osannato Trainspotting).

Un film che ha fatto scuola, ha influenzato due generazioni, ha fatto arricciare il naso alla giuria del festival di Venezia, oltre ad aver fatto litigare l’istrionico Marco Ferreri con Tatti Sanguineti. “L’odore della notte” nasce quindici anni dopo, in seguito ad un successo underground e due sceneggiature andate a vuoto. Caligari ritrae l’amore tossico per il potere e l’autodeterminazione apolitica e revanchista, perché anche il potere si può rivelare una droga, in grado di scatenare guerra. Valerio Mastandrea è giovanissimo, praticamente agli esordi.

Siamo nel 1998, un anno dopo “Tutti giù per terra”, un ritratto della generazione X, gioventù nichilista con la musica dei C.s.i. Remo Guerra è il raccordo tra la legalità, l’illegalità ed un nebuloso senso di giustizia fatto di cazzotti, pistole, prevaricazione, faide, adrenalina a mille, notti in bianco, attacchi di panico improvvisi, scatti d’ira. Remo Guerra si trova in bilico, sceglie di trovarsi in bilico, sulla soglia tra il bene e il male, preferendo il secondo per ottenere il primo.

Nessuna traccia di senso di colpa nella Banda dell’Arancia meccanica, nemmeno nel minacciare Little Tony costringendolo ad intonare una macabra esibizione di Cuore Matto, nemmeno nell’agire a volto coperto, nemmeno nel fermarsi davanti alla violenza. Caligari ritrae una Roma buia, in cui le ombre mangiano la dolce vita, la ingurgitano, tempo prima di Romanzo Criminale e di Suburra.

“L’odore della notte” si respira in un sinestetico giro di giostra che vede un’armata di criminali, invisibili come i soldati fantasma giapponesi sulle isole del Pacifico, scalare i gradini della delinquenza salvo poi venire fagocitati dalla propria ingordigia. Lo spaccato di un proletariato dell’anima, senza certezze e moralità, alla conquista di un premio all’interno di un disturbato gioco al massacro.

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Stefano Sacchetti

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