Povertà non vuol dire progresso. E socialità non vuol dire sinistra. Chi proviene dalla cosiddetta destra sociale, lo sa benissimo. Non c’è alcun ossimoro di fondo. Anzi, c’è una coerenza di base che è stata semplicemente offuscata da un certo intellettualismo figlio del pensiero del XIX, che stenta ancora a non cedere il passo a categorie più veritiere. Patria è popolo. E viceversa. Già: nulla di più semplice. E ancora: il cosiddetto popolo, per rigenerare se stesso, deve amare, lavorare e – non faccia paura questa parola- combattere.
Papa Francesco è per il popolo, ma non è progressista. Ci voleva la chiarezza del solito, e mai banale, Vittorio Messori per mettere ordine al profilo intellettuale e pastorale dell’attuale Vescovo di Roma. Con una certa vis argomentativa, l’autore di Ipotesi su Gesù, dalle colonne del Corriere della sera ha infatti: «Papa Francesco è tra gli eredi della lunga e ammirevole tradizione di cattolicesimo detto sociale. Per una serie di equivoci e di deformazioni propagandistiche, si è imposto e vige ancora uno schematismo, secondo il quale l’impegno per gli ultimi si accompagnerebbe necessariamente a una prospettiva sedicente “progressista”. E, nel caso cattolico, ”contestatrice”, eterodossa, polemica verso dogmi e gerarchie».
Il problema è dunque centrato. Povertà non è contestazione o conflitto. L’esempio più autorevole di questa linea interpretativa lo ha proposto, tanto per non sbagliare, il santo e mistico di Assisi. Francesco fu un vero ribelle, nel senso più jüngeriano del termine. Una personalità assolutamente non-conforme, ma mai un rivoluzionario. Non voleva sovvertire nulla, semmai si propose di ricondurre alla sua essenza originaria la Chiesa universale. Questo programma, però, lo volle realizzare dal “di dentro”, sottomettendosi totalmente al vicario di Cristo in terra, e non a sé stesso o all’autorità di una Vangelo vissuto e interpretato fuori dalla comunità ecclesiale, che -fino a prova contraria- è il luogo dove i quattro evangeli sono stati scritti, ragionati e vissuti.
Papa Francesco è per il popolo, ma non ha nulla a che vedere con i venti della Teologia della liberazione. Anche qui, è stato un grande vaticanista a stracciare un equivoco che vuole fare di tutta l’America latina un faccio di pensiero unitario. Nei scorsi giorni Sandro Magister ha messo in luce, attraverso il suo blog, chi sia il maestro ispiratore del pontefice attualmente regnante: “L‘argentino Juan Carlos Scannone, anche lui gesuita inviso ai più, che era stato suo professore di greco e che aveva elaborato una teologia non della liberazione ma “del popolo”, centrata sulla cultura e la religiosità della gente comune, dei poveri in primo luogo, con la loro spiritualità tradizionale e la loro sensibilità per la giustizia”.
“Oggi – ha continuato Magister- Scannone ha 81 anni e dai più è ritenuto il massimo teologo argentino vivente, mentre su quel che resta della teologia della liberazione già nel 2005 Bergoglio chiuse il discorso così: “Dopo il crollo del ‘socialismo reale’ queste correnti di pensiero sono sprofondate nello sconcerto. Incapaci sia di una riformulazione radicale che di una nuova creatività, sono sopravvissute per inerzia, anche se non manca ancora oggi chi le voglia anacronisticamente riproporre”.
Appunto, dice bene Bergoglio: “Anacronisticamente”.
@fernandomadonia