L’appello. Visione identitaria della cultura contro ogni astrattismo

fiaccolata tricoloreE’ così difficile  abbandonare le debolezze piagnucolose  della vecchia destra e dare, provare a dare, risposte mature, cioè all’altezza dei tempi, rispetto ad una “battaglia culturale” insieme “di metodo” e “di valore” ?  In che modo può arrivare, per il centrodestra, nelle sue diverse scuole e sfumature culturali, il tempo di una propria, organica strategia culturale in grado di mettere finalmente in soffitta i  vecchi complessi d’inferiorità ? Può bastare per un’ area politica oggettivamente maggioritaria nel Paese, “sbiadirsi” nell’indeterminatezza amministrativa, nel “buon governo” ? Ed ancora più “brutalmente” : la cultura…a che cosa “serve” ?

Dire cultura significa dire molto e nulla nello stesso tempo. In una realtà complessa, qual è l’attuale, la cultura appare come un segno di distinzione ed insieme di conoscenza e di appartenenza, capace di “informare” , di dare forma ad una società, di favorire l’identificazione dei cittadini e dunque l’integrazione.Questa visione identitaria della cultura può coniugarsi con l’idea di una destra non ideologica, cioè contraria ad ogni astrattismo culturale e dunque ad ogni pretesa egemonica.

La nostra concezione dell’identità non ha infatti nulla a che fare con una visione statica della vita e della cultura. Essa si confronta con la realtà, sa perciò essere dinamica, creativa, perché libera e plurale, cioè consapevole delle diversità. E dunque in grado di immaginare nuove sintesi, capaci di rispondere alle domande dell’uomo contemporaneo e della società.

La sfida “di valore” si gioca, molto concretamente, nella capacità-possibilità di dare voce e spazio ad alcune idee di fondo, misurandole con le domande del Paese reale, con la creatività italiana, con la dinamicità giovanile, con le sfide della globalizzazione. E qui pensiamo all’importanza dei miti e degli ideali come spinte culturali/sollecitatrici della Storia,  ad un ritrovato senso dello Stato, all’idea partecipativa base dell’ “Umanesimo del lavoro”, all’estetica “positiva” del bello (nelle città, nell’arte, nella vita quotidiana).

Per essere efficaci, bisogna però individuare/utilizzare strumenti adeguati alla sfida (televisione, radio, internet, cinema, teatro oltre a quelli “classici” dell’editoria e della carta stampata). Bisogna coordinare l’esistente, fatto di associazioni diffuse sul territorio, di centri librari, di sodalizi, di riviste telematiche e non, di singole personalità. Bisogna “fare rete”, fissando, ferme restando le specificità di ognuno, comuni filoni d’impegno.

Può servire, per questo, una sorta di “Fondazione d’area”, in grado di sponsorizzare iniziative in linea con tali obiettivi, capace di “formare” e “sostenere” giovani ricercatori (ad esempio tramite borse di studio, premi per tesi di laurea, progetti “ad hoc”), di “sponsorizzare”, sul territorio, eventi significativi, magari da coordinare attraverso gli assessori alla cultura più sensibili.

Bando ai settarismi perciò ed ai neoconformismi. E bando ai vecchi piagnistei. Le idee ci sono (e vincenti), ora servono gli “strumenti” per farle circolare.

* da destra.it

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