Libri. “Nel ventre” di Perroni: la storia dei guerrieri nel cavallo all’incontro con il destino

Nel ventre“Siamo trenta, siamo ottanta, siamo tanti da non contarci. (…) Ed è per questo che siamo tanti: perché chi sa contare sa quanti militi servono in tutto affinché restino vivi quanti ne bastano. (…) E noi militi questo siamo: arsenale di chi comanda, armi che marciano, mura semoventi per fargli corazza (…). E chi muore di noi non è mai morte d’uomo: è spada caduta, lancia spezzata, schianto di scudo. Loro guerrieri, noi guerra.” A parlare è un milite ignoto, uno di quei tanti militi ignoti che, pur avendola fatta, rimarranno sempre invisibili alla Storia dell’Uomo. La vicenda che egli narrerà Nel ventre, nuovo romanzo di Sergio Claudio Perroni, è quella della notte vissuta dagli eroi achei all’interno del Cavallo di Troia, in attesa che i troiani cadano nel loro tranello e facciano entrare il presunto dono nelle mura della loro città, fino a quel momento per dieci anni inespugnata. Una vicenda che rimane per secoli implicita, solo immaginabile e forse immaginata, pur appartenendo a una storia tanto nota quanto illustre come quella della guerra di Troia narrata dalla poesia epica greca e latina. Con le parole dell’autore: “Il cavallo è l’unica cosa di cui non si è mai saputo niente. O meglio, se n’è sempre saputo tutto come funzione, ma nulla come sostanza, tutto come agente di racconto, ma mai nulla come recipiente di storia. (…) L’applicazione metaforica della figura “cavallo di troia” è così efficace che in pratica non esiste campo, non solo umano, in cui non sia stata utilizzata e non sia utilizzabile. Eppure, o forse proprio in virtù dell’enorme fortuna di questo suo aspetto esteriore di meccanismo dialettico, nessuno si è mai curato del suo contenuto.”

Punto di vista di chi è invisibile e segreto millenario mai rivelato: proprio in questa sua totale alterità d’approccio sta l’originalità della storia narrata da Perroni. L’enigma (di ciò che deve accadere) è anche parte integrante della vicenda, poiché gli uomini che riempiono il ventre del Cavallo sono allo scuro di quello che sarà il loro destino: l’inganno riuscirà e distruggeranno Troia o i troiani mangeranno la foglia e sarà il veicolo dell’inganno a essere distrutto con tutto il suo contenuto? Detto ciò, capiamo bene come siano proprio le condizioni d’incertezza e di pericolo, un pericolo che non si vede e non si sente (le spesse pareti di legno del cavallo fanno da schermo quasi totale alla vista e all’udito) e per questo più temibile e temuto, ma anche l’immobilità, l’attesa in un  luogo buio e claustrofobico e la presenza di tanti uomini d’armi abituati all’azione, quindi poco avvezzi all’impotenza, a costituire il terreno ideale su cui far correre i contrasti. E sarà proprio lo scatenarsi di rancori, pregiudizi, rivalità, inimicizie che farà emergere la personalità dei protagonisti, in modo particolare le loro debolezze, le loro paure. Il tempo che si trovano a vivere nel ventre è dunque una battuta d’arresto dell’azione degli eroi, è un momento in cui la vicenda esistenziale di ognuno, quindi la loro storia in quanto uomini, si affaccia alla coscienza personale ponendoli di fronte a se stessi e al senso del loro agire.

Immaginiamo una candela che si consuma, tre figure del mito, Ulisse, Neottolemo ed Epeo, che giocano a dadi e preparano le armi, una donna del mistero, Atena, che si materializza inspiegabilmente in mezzo a loro, una moltitudine di soldati, i militi ignoti che nell’oscurità dell’antro si fanno sguardo, testimoni e pubblico della scena, le voci dei troiani che echeggiano distorte fuori dal ventre. Ulisse è il generale coraggioso e scaltro che ha escogitato il tranello del Cavallo, Ulisse è l’astuto manovratore d’animi che ordisce stratagemmi; Ulisse è anche colui che ha “paura dell’aria e del dopo”, quando, dismessi i panni del guerriero, dovrà portare a compimento la sua avventura umana, il suo personale destino, affrontando un viaggio verso il ritorno a volte inviso. Neottolemo è il figlio di Achille, con la grandezza del quale egli si deve a forza misurare. È il giovane guerriero sanguinario, insicuro e avventato che s’incendia spesso e volentieri, che ha bisogno di conferme continue per alimentare la sua autostima labile ed evanescente, che non conosce se stesso, se non attraverso lo sguardo degli altri, che attacca per difendersi e uccide per “paura del male e di sé”. Epeo è l’artefice, costruttore in tre giorni del Cavallo, è l’uomo di scienza che non ha bisogno di credere in altro da sé, non negli dei, non nel destino, l’unico che non ha paura proprio grazie alla sua conoscenza e alla fiducia in ciò che ha fatto, ma che per primo incontrerà la morte all’interno della sua stessa opera per un assurdo scherzo proprio di quel destino che ha misconosciuto. Atena è la dea più coinvolta nelle vicende della guerra troiana, l’archetipo del femminile divinizzato che induce l’eroe al confronto con se stesso, a guardare, come in uno specchio, ciò che di sé vuole nascondersi. La dea arriva nel sonno poiché è lì che la vigilanza dell’Io s’allenta e le percezioni dell’uomo si aprono a una verità diversa da quella della veglia. La dea arriva ammantata di contegno da sposa, devota e remissiva, ma parla per enigmi e instilla il dubbio nelle profondità degli animi toccando corde segrete, blandendo e terrorizzando. Poi è l’alba e tutto fuori è compiuto, il tempo di attendere è finito. La prole guerriera dentro al Cavallo è ora anche dentro alle mura. E’ il momento di essere partoriti, di uscire fuori e andare ad agire, realizzando così il proprio destino.

La narrazione di Perroni è compatta e stringente, da bere tutta d’un fiato, è una musica antica costellata di bellissime figure retoriche (similitudini e metafore) che evocano immagini di grande impatto emotivo. Nel ventre ha il tono alto della poesia epica e il ritmo cadenzato della rappresentazione teatrale col suo alternarsi di luce e ombra, i suoi dialoghi e i suoi silenzi interrotti dai rumori di scena (il ticchettio della pioggia, il frusciare delle vesti, il cozzare di lance e scudi, gli scricchiolii della macchina zoomorfa, le grida dei troiani, il movimento del mare), l’accendersi delle dispute, il sollevarsi sommesso di un canto. Il nuovo libro di Perroni è infine un’opera d’arte a tutto tondo perché unisce alla raffinata sensibilità e maestria delle forme e dei contenuti della scrittura la bellezza estetica conferita anche e soprattutto dalle illustrazioni di un artista del calibro di Velasco Vitali, ognuna un piccolo universo di simboli e di colori che accompagna perfettamente il passo della pagina scritta.

* Nel ventre di Sergio Claudio Perroni, pp. 120 (con illustrazioni Velasco Vitali), euro 13, Bompiani

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Chiara Donnini

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