Formalmente hanno ragione loro, ci mancherebbe. La Carta costituzionale, quella rimasta invitta dopo il voto del 4 dicembre, parla chiaro. Il dissidio però tra il dito e la luna resta immutato. “L’Università della Vita”, la sostanza, ci dice ben altro: che gli umori del Paese non tollerano affatto il ritorno al potere della proceduralità primo repubblicana, rispolverata con la nomina dell’ex Margherita Paolo Gentiloni alla presidenza del Consiglio. Dal 1993, almeno, l’Italia ha metabolizzato il principio chiaro e distinto che vuole ad ogni proposta politica collegato un leader e quest’ultimo premier una volta vinte le elezioni. Una percezione favorita dal Mattarellum (da Mattarella, Sergio), dal Porcellum, e non smentita dall’Italicum. Sono passati oltre vent’anni da allora, un’era fa, e certi automatismi – anche se in malo modo – sono già nella pancia del Paese.
Non è un caso, infatti, se Matteo Renzi ha deciso le dimissioni dopo l’esito del Referendum costituzionale. Nessun legge glielo imponeva. Il popolo sì, invece. Questo perché, nonostante tutto, un filo neanche troppo sottile tra elettori, eletti, financo nominati, c’è e si sente, anche se non è sulla carta. Oltre la Costituzione, c’è la politica che è altra cosa rispetto alla conoscenza pedissequa del diritto. Questione di quadri d’insieme, strumenti che dovrebbero essere nelle dotazioni di chi fa ricerca sul serio. Si spera, almeno.