BuzzFeed-M5S. Smascherare le bufale? Nuova caccia alle streghe

Nella bolla autoreferenziale dei “comunicatori” sta facendo molto rumore la pubblicazione su BuzzFeed di un’inchiesta che vorrebbe essere un approfondito studio sui meccanismi di cui il Movimento 5 Stelle si serve, attraverso una serie di testate pseudo giornalistiche ad esso collegate (TzeTze, La Cosa, La Fucina), operando come un’autentica centrale di disinformazione a sostegno non solo delle proprie campagne ma anche delle politiche del governo russo, cui il partito, al pari di altri movimenti populisti in Europa, sarebbe collegato attraverso una serie di convergenze mediatiche con fonti vicine al Cremlino (Sputnik, Russia Today) e intrecci lobbistici.

L’articolo (che per la verità non contiene rivelazioni sconvolgenti, dal momento che tutti i fatti verificabili in esso citati sono piuttosto noti) avalla fin dal titolo una commistione emblematica tra “bufale” e “propaganda russa”: Italy’s Most Popular Political Party Is Leading Europe In Fake News And Kremlin Propaganda.

Ora, a prescindere dalla fondatezza delle accuse rivolte in questo caso al M5S, la prima osservazione che si può fare è che la vasta campagna di stampa a monte è tutt’altro che innocente (questo non perché vi sia chissà quale gombloddo ma perché non esistono campagne di stampa innocenti, né quelle dei grillini né quelle degli altri).

Si arriva infatti alle riflessioni di questi giorni sull’onda lunga del clima di sospetto (a tratti da caccia alle streghe) creatosi attorno ai timori di intromissioni degli hacker russi nei sistemi informatici della campagna elettorale di Hillary Clinton e perfino in quelli che assicurano lo svolgimento del voto, alla vasta azione di discredito nei confronti di Wikileaks, alla pressante richiesta avanzata da più parti ai gestori dei social network per introdurre qualche “filtro” nei confronti delle fake news (senza peraltro specificare cosa si debba intendere di preciso per falso, sottoponendolo alla verifica e al giudizio di chi, secondo quali parametri, con quali possibilità di rivalersi qualora ci si ritenga sanzionati in modo ingiusto), fino alla sconcertante risoluzione contro Sputnik e Russia Today votata la scorsa settimana dal Parlamento Europeo.

Anche da noi qualcosa si muove. È successo nelle settimane scorse con l’inchiesta di Jacopo Iacoboni de La Stampa attorno al caso Beatrice Di Maio, poi conclusasi nel più ridicolo dei modi (anche in quel caso, comunque, ci dissero che c’entravano i russi e noi ci siamo fidati). Giusto martedì scorso, invece, la Camera dei Deputati ha promosso un convegno sulla disinformazione online introdotto da Laura Boldrini e alla presenza, tra gli altri illustri relatori, del padre nobile del debunking italiano Paolo Attivissimo.

Questa è la piega che sta prendendo il vasto dibattito sulla “post-verità” e la proliferazione di bufale sul web. Leggendo il paragrafo riportato in foto, tratto da un articolo del Post che commenta l’inchiesta di BuzzFeed, si può avere l’esatta misura dei rischi impliciti in questa confusione – non si sa fino a che punto cosciente e deliberata – tra “notizie false” e proposizioni non falsificabili (buongiorno, professor Popper), per quanto ideologiche le si possa ritenere.

Se cade la possibilità di distinguere le affermazioni oggettivamente false (il punto di ebollizione dell’acqua è pari a 600 gradi) dalle affermazioni soggettivamente opinabili (gli Stati Uniti non sono interessati a combattere lo Stato Islamico ma a destituire Assad), allora si equipara a “una bufala” anche una semplice interpretazione di fatti, rapporti di forza, moventi geopolitici non dichiarati, basata su presupposti che al mainstream dell’informazione possono non piacere. Con tanti saluti all’epistemologia, oltre che alla libertà di opinione.

È evidente che accomunare i critici del pensiero dominante a spostati e complottisti di tutte le risme, ad esempio approfittando di collegamenti che possono esserci tra spezzoni della controinformazione e pseudoscienza, ha il fine ultimo di screditare in maniera indistinta i primi. Ed è quello che succede oggi, ma è lecito dubitare che possa succedere in eterno. Infilare Dugin e Eleonora Brigliadori nello stesso calderone è un trucco retorico col quale, parafrasando Lincoln, si può ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non tutti per sempre.

L’eventualità più concreta è che, allargando il perimetro di quel che si definisce disinformazione troppo al di là del recinto dei “veri falsi”, arrivi il momento in cui anche il termine “complottista” smetterà di possedere la stessa carica di discredito sociale che ha tuttora, proprio come è successo ad altri vocaboli in passato. Sarebbe un problema, perché a quel punto anche chi crede che si possa curare il cancro con limone e bicarbonato, che i movimenti tellurici siano gestiti dalle installazioni militari e che le classi dirigenti del pianeta appartengano a una razza di lucertole aliene troverebbe molto più campo libero.

Nel disperato tentativo di salvare la sua residua credibilità, il ceto giornalistico più legato agli interessi dominanti in Occidente sta rinchiudendosi in una cittadella e squalificando chiunque si trovi all’esterno. Chi resta fuori può anche rassegnarsi a portare un cappello di stagnola calcatogli sulla testa da altri, ma chi si è chiuso dietro alle porte di bronzo dell'”informazione oggettiva” rischia che quello che desidera si avveri. E non sarà bello.

Andrea Cascioli

Andrea Cascioli su Barbadillo.it

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