Il caso. La Mafia uccide solo d’estate. Perché Pif merita gli applausi

pifMafia. La formula di Pif è quella giusta. E se a dirlo sono i bambini, e non i tuttologi del fai da te, c’è da prestargli almeno per una volta attenzione. La mafia uccide solo d’estate – la serie – piace, fa ridere e riflettere. Soprattutto fa sollevare interrogativi. A chi? Ai più piccoli. A quelli cioè che non hanno vissuto gli anni della sovranità mafiosa in terra di Sicilia, anni di piombo e cemento armato. Epoca che non rimpiangiamo affatto, anche se non si sono ancora conclusi completamente. Oggi c’è l’antimafia al governo, di quella un tanto al chilo, incapace a creare narrazioni potabili. Se il cinema è l’arma più forte, la tv continua a essere una vera e propria bomba atomica utile a costruire (o a smontare) coscienze.

La Mafia è esistita, esiste, e ha fatto danno. Assai. Nell’Isola e anche fuori. Lasciamo agli esperti il compito stabilire se essa sia tornata in auge con lo Sbarco e con la benedizione di Lucky Luciano. Godiamoci pure le botte da orbi tra Pif e lo storico Saro Mangiameli, una disputa forse asimmetrica e inutile intorno a un film, In Sicilia con amore, che di interrogativi ne solleva a iosa. I fatti ci dicono però che con l’Amgot in Sicilia don Calogerò Vizzini divenne sindaco di Villalba e Genco Russo di Mussomeli. Il resto è storia recente e per chi non la conoscesse c’è il lunedì sera di mamma Rai a far da sussidiario. Uno spettacolo fatti di sangue, di bombe, silenzi, giudici, poliziotti e innocenti uccisi.

Ma anche di giornalisti alla Mario Francese, falciato dai corleonesi per essersi chiesto perché la diga di Garcia fosse una trentennale incompiuta. Guarda caso, main theme dell’ultima puntata. E intanto, davanti alla tv, i bambini chiedono: «Ma perché, l’acqua mancava?». «Sì, mancava». Prima non lo sapevano. Ora lo sanno. E i più grandi tornano a saperlo, qualora servisse a non morire un’altra volta di sete.

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Fernando Massimo Adonia

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