RitrattiDiCinema. “Sarà per te” e l’attualità dell’arte visiva di Francesco Nuti

francesco-nuti-durante-un-filmNon ricordo esattamente quante volte la mia penna si sia accostata al nome di Francesco Nuti. Al contrario, rammento perfettamente il motivo per il quale capitolavo davanti alla volontà di scriverne. L’emozione puntualmente mi saliva come un nodo in gola e io mi sentivo incapace di trattare l’argomento con dovuta – soprattutto all’artista – lucidità e chiarezza. Ancora oggi, incomoda in questo mio impegno una pesante tara, la stessa che non mi dona freddezza e mi trascina a scriverne in prima persona. Mi concedo un’inettitudine di non saperlo fare in modo diverso.

Volevo parlare di lui ogni volta che la tivù passava “Caruso”, “Willy” o “Il Signor Quindicipalle”. Presa dalla forza dell’innovazione di tali regie, un vigore affondava prima nell’inchiostro, poi già nell’istante successivo, con i lampi del presente davanti, una sorta di indolente mestizia, prendeva il sopravvento. Mai tale scossa mi arrivava dalle morbose e dettagliate notizie di un tg, diversamente l’impulso si accaniva nella ricerca di un telecomando per cambiare canale. Ogni urto mi proveniva sempre dalla sua arte. Desideravo ancora parlarne dopo aver letto l’autobiografia curata dal fratello Giovanni: “Sono un bravo ragazzo”. Ma ancora, sopravviveva uno stato d’animo che mi rendeva inidonea a farlo. Tutto questo seguito dalla paura di cadere nella retorica – che non è un virus letale – ma può divenirlo quando si corre il rischio di non rendere giustizia al regista, all’attore e all’uomo. Tante volte ho detto al direttore Michele De Feudis: “Scriverò di Francesco Nuti”, tutte le volte che non l’ho fatto, sino a oggi. Un oggi che proviene da una notte, una di quelle notti in cui il sonno fatica ad arrivare, il televisore è acceso, ma la sua legge è dettata da un iPod, dapprima colonna sonora di quel buio e infine calore in un improvviso colore. Da quel piccolo congegno magico parte una struggente melodia, “Sarà per te”, canzone scritta da Riccardo Mariotto e interpretata da Francesco Nuti nel 1988, al 38° Festival di Sanremo. Tra divagazioni, pensieri e immagini stampate nella mia mente, soprattutto nell’angolino che abbraccia l’adolescenza, parte infine un impeto di fermezza: finalmente scriverne, fare dedica di queste parole a colui che nel cinema italiano ha posto una traccia e una firma che non possono e non devono cadere nell’oblio.

“Sarà per te” Francesco Nuti, per le fossette che tanto caratterizzano quel volto. Sarà per quello sguardo furbetto, che ancorato nella mia mente, continua ad ammaliare. Sarà per quei riccioli ribelli che mi appresto a parlare del cinema. Ignoro il ruolo svolto dalla critica cinematografica nei suoi riguardi, mi permetto di usare la mia e i mezzi che il professore di cinema mi donò all’Università. Vorrei gridare di pellicole che sono ancora oggi così attuali e custodi di un certo modo di piegare la macchina da presa alle proprie emozioni. Il linguaggio cinematografico dei suoi primi film dietro la macchina, vive un momento di refrigerio, pur lasciando trapelare toni di fondo fortemente malinconici. Si tratta di un particolare stato d’animo che non giunge nell’immediato, durante la visione cinematografica; torna a bussare in un secondo momento, quando la stessa pellicola dal tono lieve e divertente, passa a quello dolcemente amaro nel battito di una ripiegatura: la riflessione. Lo stesso stato d’animo che, dall’apice del successo in poi, non abbandonerà mai il regista. Al contrario si farà un elemento annientatore che lo porterà a scardinare la voragine sviluppata negli anni e foraggiata – non tanto paradossalmente – dalla notorietà. Un basamento di dolce tristezza, all’interno del quale, il regista edifica le storie, diviene il marchio distintivo della sua poetica del cinema. Alcune morbosità, pur nella tonalità ridanciana, figureranno curiose profezie di una vita particolarmente permeabile alla sofferenza. Un’amarezza, che dentro quel sorriso beffardo, si distenderà come il filo conduttore di “Tutta colpa del paradiso”, “Caruso Pascoski di padre polacco”, “Willy Signori e vengo da lontano”, “Donne con le gonne” sino alla disfatta nel botteghino di “Caruso, zero in condotta”.

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La figura della donna è spesso la metafora di una passione maniacale o di un amore non corrisposto; i personaggi, ricorrenti nei nomi di alcuni attori, sono di frequente delle creature inconsapevolmente smarrite e stralunate. La musica, che già nella prima nota di “Lovelorn Man” per fare un esempio, riporta direttamente ai meravigliosi panorami della Valle d’Aosta e al magico incontro con lo stambecco bianco di “Tutta colpa del paradiso”. Melodia di un uomo innamorato, malato di amore che cerca la sua anima nel dolore e finisce solitario sulla propria strada.

E infine il biliardo, una sorta di feticcio che si porta indosso dall’infanzia tra Prato e Firenze. Varca e segna il suo cinema alla maniera di un’inquadratura, la più importante di tutte. Tentando un azzardo nel linguaggio, si potrebbe parlare di un “piano-biliardo”.

È il biliardo che mi ha insegnato a fare il cinema, perché nel biliardo ogni colpo è il risultato della scelta di infinite triangolazioni. Fra le triangolazioni del biliardo e le angolazioni dell’inquadratura cinematografica non c’è differenza.
Il regista, come un giocatore di biliardo, si muove intorno alla scena per scoprire dove piazzare il colpo. Guarda la scena dall’alto, dal basso, da lontano, da vicino, ma solo attraverso il coraggio dell’IMPROVVISAZIONE coglierà l’immagine più bella.

Nel provare a raccontare questa storia, forse dimentico di ricordare l’imponenza del vuoto, che tra un film e l’altro, si fa sempre più invasiva. Voragine che non può essere colmata con un altro vuoto e ancor meno riempita da un bicchiere. L’alcol, nel frattempo si rende patologia e travolge senza lasciare prigionieri. L’amico confortevole nelle vesti di una vodka, diviene il nemico più temibile; l’unico condottiero che trascina nel verso della distruzione. E si diventa inaccessibili al soccorso sino al punto di non ritorno: un incidente, un coma, una malattia e infine il silenzio.

Io sono il tema dell’abbandono, l’asprezza dell’abbandono. Ora che ho più di cinquant’anni conosco ancora il dolore dell’abbandono. Non è vero che ho cercato il successo, è vero il contrario. Ho conosciuto l’asprezza di questo mondo dello spettacolo, con una tale voracità che mi ha fatto imparare tutto e presto, anche l’arte del corteggiamento. Non è vero che io ho preso le donne, è vero il contrario. Ho fatto finta per anni di essere un Don Giovanni e sono ancora qui a leccarmi le ferite. È vero: ho avuto tante donne, tante macchine, tanti soldi, ma tutto si è bruciato in un baleno e tutto ciò che mi è rimasto addosso è quella malinconia che qualcuno dice. Mi sorprendo ancora quando mondo su un palcoscenico. Rimango spiazzato, inebetito, di fronte a un pubblico che non conosco, di fronte a un amore che non conosco. Anche il vino che ho bevuto a volte non lo conosco, ne conosco solo il sapore. L’ho bevuto esclusivamente perché dà tono, dà ebbrezza. Non conosco le donne, ecco perché le conquisto, ecco perché le lascio o mi faccio lasciare.
Chi è Francesco? Ho solo una certezza: il padre di Ginevra.

Nuti con il fratello Giovanni

La vita prende il sopravvento sull’arte poiché non custodisce le proprietà lenitive di una pietas che non le appartiene. Ma in tale superamento il regista resta, e si presenta anche la consapevolezza dell’amore più grande, quello per una figlia. Pertanto torna alla memoria, così all’improvviso, la struggente interpretazione di “Sarà per te”, un’ode vissuta su un palco dieci anni prima della nascita di Ginevra, avuta dal legame con l’attrice Annamaria Malipiero. Sarà per Ginevra, per un amore mancato, per un altro passato o per noi che lo ascoltiamo sotto la volta di una notte solitaria, al riparo da una delusione e nel conforto della sua voce. Poiché se è vero che dal 2006 quella voce non esiste più, è altrettanto vero che le sue canzoni hanno preso a risuonare più forte. Accadono dei silenzi che gridano, succedono delle assenze più poderose di tante presenze. Sono mancanze che si fanno sentire, alle quali vorresti dar tono, anche solo per un istante. Per questa volta l’ho spuntata con la commozione perché la nostra storia è la storia dei nostri artisti che mai vanno dimenticati in vita e in morte. Sono la consolazione, il sorriso, la lacrima, la sospensione, dunque la vita della nostra vita.
“Sarà per te”

P.S. Alla fine ho pianto. Ma solo dopo aver portato a termine queste poche righe. Per quanto le mie lacrime non contino: piango sempre, anche davanti l’ennesima visione di “Tutta colpa del paradiso”. Un’ennesima che non è mai l’ultima.

Le parole in corsivo sono la voce di Francesco Nuti dall’autobiografia a cura di Giovanni Nuti: “Sono un bravo ragazzo” – Andata, caduta e ritorno. Rizzoli Editore, prima edizione: settembre 2011.

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Isabella Cesarini

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