Esteri. Sgomberata la giungla di Calais ma le nuove identità europee rischiano derive violente

immigrazione_sbarchi1R439_thumb400x275Il governo francese ha deciso di sgombrare la “giungla” di Calais, il campo profughi sui generis affondato tra le dune della Manica, fronte al Regno Unito. Per gestire l’operazione vengono inviati 1250 poliziotti, che si aggiungono ai circa 2.000 già presenti. Numeri enormi, soprattutto considerando che servono a gestire circa 10.100 persone – e che secondo le fonti di Sky, oltre alle numerose testimonianze dei mesi scorsi, non sono stati comunque sufficienti a evitare complicazioni.

Tremila agenti delle forze dell’ordine per 10mila persone è un numero enorme e preoccupante. Soprattutto se si considera che la Giungla potrebbe essere un laboratorio per il resto d’Europa: a Calais, infatti, possiamo osservare l’esempio di un gruppo coeso etnicamente (poco) e politicamente (tanto, seppur in senso lato), cosciente delle proprie rivendicazioni, molto urgenti e specifiche. Un incubatore di identità.

La Giungla di Calais è un estremo, evidentemente, ma non molto distante dagli episodi delle rivolte parigine e francesi delle banlieues, o dei riots inglesi; non lontanissimo neppure dalla protesta di Black lives matter: tutti casi nei quali minoranze etnico-sociali si rivoltano in maniera violenta alle forze dello Stato. Questi episodi sono così la dimostrazione di come l’attuale assetto politico-comunicativo viva sì in una società che ha disintegrato ideologie, classi e mediatori politici, ma che nel fare questo ha anche slegato le mani al vasto numero di individui arrabbiati e incontrollabili che ha prodotto; persone che non sono pericolose solo finché non violente e non organizzate.

Se l’esasperazione però si produce nei confronti di individui più vicini, per esperienza o contesto, alla violenza, e se all’interno di questa miscela inseriamo anche lo “spirito identitario” di cui sopra, le rivendicazioni impiegano poco a rendersi violente e incontrollabili. Nelle periferie delle megalopoli europee la temperatura è infatti arrivata al grado di ebollizione diverse volte.

Questa è allora una delle ragioni per cui non si può più sottovalutare l’oggettiva mancanza di legittimazione politica dell’Europa: i movimenti antieuropei infatti prendono forza ovunque nelle cornici di partito, ma anche fuori dal contesto politico-istituzionale ribollono contestazioni antisistema che su base nazionalista, etnica, sociale o religiosa hanno rivendicazioni sempre più urgenti. Non ci vorrà molto prima che tutto questo fronte riconosca come comune nemico l’Unione Europea attuale, e che questa anti-Europa giunga a contestazioni numerose e potenzialmente violente, rispetto alle quali gli Stati stanno dimostrando, come a Calais, sempre meno capacità di gestione e d’intervento.

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Andrea Tremaglia

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