Cinema. “Inferno” adulterato e anti-italiano di Dan Brown e c.

Film e libro
Film e libro

E’ un tuffo nel mare magnum del conformismo, quello che ormai gli scrittori d’Oltreoceano propongono a tutto il mondo in dosi massicce servendosi di trame scontate, senza alcun intendimento di tipo letterario, ma soltanto prediligendo la spettacolarità, l’intrigo e temi ovvi, ad esempio quello della sovrappopolazione, come nel caso di Inferno la riduzione cinematografica diretta da Ron Howard dell’omonimo romanzo di Dan Brown.

La trama è lineare e ovvia (i continui flashback sono creati ad arte per confondere lo spettatore), uno scienziato (pazzo) transumanista, Bertrand Zobrist, ha come obiettivo una disinfestazione del mondo eliminando la metà della popolazione per mezzo di un supervirus da lui ideato e prodotto (in questo senso anche Hitler e Stalin erano transumanisti ante litteram…) ma il tentativo viene reso vano dalla scaltrezza del professor Langdon, esperto simbolista che riesce a decifrare le mene sterminatrici dello scienziato attraverso le tracce celate nel simbolismo pseudo – dantesco lasciate dallo stesso Zobrist e dall’enigmatico quanto evanescente Ignazio Busoni.

Naturalmente il cocktail, emulsionato un po’ alla buona, si avvale dei soliti ingredienti di genere: l’amante nascosta, il doppiogiochista, la vecchia fiamma, l’uomo enigmatico che scompare e riappare, l’uomo nero, il cattivo che si ravvede e che per questo perde la vita, e appunto lui, Langdon stralunato protagonista che afflitto e ingannato da una miriade di flashback per lo più ingannevoli, arriva a sembrare un ebete sballottato contro la sua volontà da Firenze a Venezia e infine a Istanbul dove si conclude la storia con l’immancabile lieto fine e il ritrovato quanto impossibile amore: Elizabeth Sinskey, direttore dell’OMS.

Improponibile poi il personaggio di Vayentha, la falsa carabiniera che si muove liberamente dappertutto grazie alla divisa, ma scarmigliata perché sempre sprovvista del berretto d’ordinanza, cosa inammissibile per un carabiniere, e dotata di un numero incredibile di proiettili; il regista non sa che le nostre forze dell’ordine sono dotate di un unico caricatore da quindici colpi. Sarebbe stato un gioco da ragazzi individuarla in tempo e arrestarla.

Inutile soffermarsi sul superficiale utilizzo del nostro patrimonio storico-artistico piegato ai voleri del copione e che d’altro canto ha poco a che fare con l’Inferno dantesco evocato nei deliri del professore americano con immagini pseudo dantesche che evocano, come sempre, gli immancabili zombie, il cui filone ripetitivo e ossessivo, come quello dei dinosauri, ha saturato la produzione cinematografica d’Oltreoceano. Il gioco delle parti è scontato. Si capisce subito, dalla prima scena che la giovane e attraente Sienna Brooks è una doppiogiochista innamorata del suicida Bertrand Zobrist dal quale ha ereditato la missione sterminatrice con amorevole solerzia.

Poi, in un film in cui la nostra tradizione culturale viene interamente fraintesa, non può mancare la frase razzista all’indirizzo di noi italiani. Dopo aver ucciso Christoph Bruder e avergli spaccato la testa con una spranga, il capo del Consortium afferma con sussiego: “Non il mio miglior lavoro, ma per gli italiani può andare”, confermando ancora una volta l’immagine stereotipa degli italiani pressapochisti, superficiali e cialtroni tipica di certa sciatta pubblicistica anglosassone.

E’ perciò evidente che il romanzo e il film cui si ispira, costruito in laboratorio servendosi di una trama scontata cui ha lavorato probabilmente un’intera redazione di ghost writers (gli autori anglosassoni operano così), ha confezionato un prodotto di grande superficialità culturale e di nullo valore letterario indulgendo a colpi di scena scontati e attingendo a un inattendibile apparato filologico che rivela grandi e imperdonabili falle.

Inferno è perciò un’opera di travisamento della nostra tradizione artistico-culturale che narra false storie (non esiste ad esempio un’autentica maschera funeraria di Dante), altera i monumenti, con informazioni ingannevoli che ne cambiano in maniera sostanziale l’architettura, ad esempio degli Uffizi creando percorsi “impossibili” e a Venezia dove non esistono marciapiedi e viene confusa Riva del Vin con Fondamenta del Vin.

Ma questi sono quasi tutti peccati veniali anche se non i soli, perché il piano di riduzione della popolazione mondiale è già in atto e non si serve di un supervirus cui si potrebbe facilmente trovare un antidoto, ma usando mezzi più subdoli come la cultura dell’eutanasia, della contraccezione, dell’aborto; le crisi economiche indotte che provocano denatalità, la propaganda LGBT finanziata e promossa da ben identificati centri di potere economico-finanziario, da cui non nasce niente, l’abbassarsi del welfare che ha conseguenze dirette sull’aspettativa di vita della popolazione.

Con operazioni del tipo di Inferno si tenta di polarizzare l’attenzione della gente su problematiche inesistenti e create ad arte, cui i media mainstream danno di solito ampio risalto (vedi la bufala dell’influenza aviaria), distraendo l’attenzione della gran parte del pubblico da fenomeni distruttivi già in atto. Come l’impennata delle morti in Italia avutasi nel 2015 (67.000 decessi, quasi il 12% in più rispetto al 2014) che eguaglia il picco delle due guerre mondiali.

La vocazione dell’uomo è di moltiplicarsi perché il vero patrimonio del mondo è proprio l’uomo e non le ricchezze intorno a lui né i suoi distruttivi egoismi; il suo pensiero, la sua scienza, i propri sentimenti, il coraggio, la volontà, le idee e gli ideali. Quanti geni sono stati abortiti sino ad oggi? Se fossero nati, avrebbero aiutato il mondo a risolvere tanti problemi all’apparenza insolubili.

Mio zio ultranovantenne, una vita intera trascorsa a fare il sarto, si pone spesso una domanda sconvolgente nella sua semplicità: “Chi ci dice che la pratica indiscriminata dell’aborto lasci nascere soltanto i cattivi sopprimendo i buoni?”

Bè, assistendo a film come Inferno ed esaminando le vicende del mondo negli ultimi anni, sto dando, ogni giorno che passa, sempre più ragione al mio vecchio zio.

@barbadilloit

Mario Farneti

Mario Farneti su Barbadillo.it

Exit mobile version