L’intervista. Renzaglia: “Ezra Pound aveva previsto le speculazioni e l’abuso di moneta”

Ezra Pound
Ezra Pound

Intellettuale, artista, scrittore, giornalista, militante dell’idea. Miro Renzaglia, con “La parola a Ezra Pound e altre maschere d’autore” (Edizioni Proudon) interpreta ventotto maschere per accompagnare il lettore in un originale itinerario per conoscere autori e uomini fuori dal comune, uniti dal filo rosso dell’amore per la libertà e dall’anticonformismo. Ecco il dialogo di Renzaglia con Barbadillo.it, da Ezra Pound a Berlinguer, passando per Berto Ricci, Nicola Bombacci e Dante Virgili…

Partiamo da Ezra Pound. Perché la parola del poeta americano ha conservato una straordinaria attualità nell’Italia dei nostri giorni?

“Perché Pound aveva previsto con poetica/scientificità il completo sovvertimento della dinamica Politica-Economia attraverso l’uso/abuso della moneta da parte dei suoi concentrazionisti (banche e ingegneri dell’alta finanza). Per questa sua profezia gli diedero del matto e lo rinchiusero in manicomio. Oggi, i fatti che abbiamo sotto gli occhi gli danno assoluta ragione. Anzi, a ben guardare, il dato odierno è addirittura peggiore del suo previsto: un intero continente è governato dalla Bce, un ente privato economico/finanziario sovranazionale che detta le sue regole in assoluta autonomia rispetto alla politica degli stati. Meglio: in assenza dello stato, visto che di governo federale europeo (come organo esecutivo della Ue) non esiste l’ombra. Con gli esiti che sappiamo”.

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Come nasce questo volume?

“Dalla volontà di rappresentare alcune mie convinzioni (poetico-politico-culturali) attraverso una tecnica che avevo imparato, una quarantina di anni fa, proprio da Pound: quella delle maschere (dal latino personae, per-sonare, per amplificare la propria voce). Ovvero: esprimere se stesso per tramite altrui. Secondo mia intenzione originale, i libri dovevano essere due: “La parola a Ezra Pound” e “Maschere d’autore”. Senonché, oltre all’uso comune della maschera, c’era un’altra serie di fili conduttori, il più evidente dei quali è il tema del “tradimento”, che alla fine mi ha fatto scegliere di tessere il tutto in un’unica tela”.

Quanti generi letterari sono presenti nell’opera e perché li ha utilizzati?

“I più eccentrici. La scelta dello stile drammaturgico per Pound è stata quella più difficile perché per me del tutto nuova. Volevo farlo rispondere alle accuse di quanti nel tempo si sono espressi sulla sua vicenda e, allora, perché non portarlo in tribunale? E il tribunale si sa, è pur sempre l’aula di ascolto del testimone. Le interviste impossibili sono da sempre un mio escamotage speculativo che chiamo “interrogatorio al contrario” e che uso anche come lettore: sulle risposte che mi dà l’autore del libro, costruisco la domande che non sapevo gli avrei fatto prima di leggerlo. Il cut-up per Céline mi è venuto dopo aver cestinato un’altra decina di versioni dove a non essere interessanti erano i miei commenti al suo detto. La linea narrativo-cinematografica per Michelstaedter è venuta fuori dall’esigenza di raccontare l’uomo oltre che a esporre, per linee brevi, la sua filosofia”.

Berlinguer

Ci sono anche ritratti di intellettuali e politici rossi. Come nasce la passione per Enrico Berlinguer?

“Mah! Io non faccio molta distinzione fra intellettuali rossi, neri o bigi. La faccio fra chi dice cose interessanti e chi dice stupidaggini. In genere, preferisco non confrontarmi con i secondi e dedicarmi, invece, a chi afferma cose che mi danno modo di riflettere, talvolta per confutarli, del tutto o in parte (Evola, Debord o Pasolini, per esempio), a volte per ribadirli secondo mio metro. Il loro orientamento politico m’interessa poco. Quella per Berlinguer non è una passione ma, appunto, un interesse nato dall’accortezza che l’attuale premier di governo italiano, Matteo Renzi, è il coronamento perfetto di una linea politica inaugurata proprio da Enrichetto. Quella linea, cioè, che di svolta in svolta, di strappo in strappo, di segreteria in segreteria ha portato alla completa decomunistizzazione dei succedanei ereditari del vecchio Pci. Fino, appunto, a un segretario del Pd che, non solo non viene da quella storia ma che, nel suo operato di governo, la contraddice e smentisce. Pensa solo – e a titolo di un esempio fra i tanti che potrei fare – all’abrogazione di fatto dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Ci aveva già messo mano la commissaria della Bce per l’Italia, addetta allo smantellamento dello stato sociale, Elsa Fornero ma è stato lui, Matteo loro, a perfezionarla. In pejus per il lavoratore, s’intende”.

E per Nicola Bombacci?

“Una delle linee guida delle mie “maschere d’autore”, forse la più vistosa, notata in molte recensioni, è la scelta di personaggi imputati, a torto o a ragione, di tradimento: Pound, prima di tutti. Volevi che mancasse Bombacci, il “supertraditore”, come lo ebbero a definire i suoi giustizieri? Poi, cosa vuoi?, resto sempre romanticamente affascinato dai combattenti volontari delle battaglie perse”.

L’intervista impossibile a Pennacchi. Quando l’ha letta, come ha commentato…?

“Al telefono, testuale: “A Mi’, te possin’ammazzatte… la prossima volta che me chiedono un’intervista te la giro a te: tanto ormai me leggi nel pensiero…”. Carino, no?”.

Berto Ricci

L’incontro con la moglie di Berto Ricci, la signora Mafalda? 

“Poesia, pura poesia… Non so se sono riuscito a scriverla bene, ma l’impressione ricevuta  dall’incontro con lei e l’intenzione del modo di restituirla al lettore era quella”.

Céline: oltre l’icona letteraria. L’aspetto che sente più affine?

“Forse, una certa vocazione a fraintendere e a essere fraintesi. Prendi, per esempio, il suo sbandieratissimo antisemitismo: fraintese il potere della finanza ebraica, giudicandolo una loro esclusività (e non è mai stato così) e fu frainteso da chi ritenne che la matrice della sua invettiva antisionista fosse di stampo razzista. Gli unici che capirono bene Céline furono i nazisti (quelli storici, non le macchiette del dopoguerra). Nel Terzo Reich, i suoi libri restarono all’indice degli interdetti, bollati di nichilismo. Con le doverose proporzioni, ovviamente a mio abissale sfavore, qualcosa del genere capita anche a me: fascista per i sinistri e comunista per i destri. In realtà, sono sempre stato e resto un renzagliano puro. E non è una scelta: non mi riesce altro”.

Craxi? 

“Sono del parere che quanto gli fecero pagare con lo stillicidio giudiziario e con l’esilio (volontario/involontario: l’alternativa era la galera) fino alla morte, fu Sigonella: l’ultimo italico sussulto di sovranità nazionale. Uno statista vero”.

La parabola di Gianfranco Fini?

“Chi ha capito le sue strategie politiche dev’essere stato qualcuno bravo, ma bravo per davvero. A me, sin dai tempi del Fronte della Gioventù, non è mai riuscito. E quando, sbagliando, mi è sembrato di capirlo e finanche apprezzarlo (vicenda Fli), mi ha subito smentito.  Da eterno secondo, è stato bravissimo a succhiare la ruota e la scia del numero uno di turno: da Almirante a Berlusconi, da Monti a Napolitano. Da leader senza strategia altra che non fosse una sua personale volontà di primato, o ha sprecato il vantaggio (lo scioglimento di An) o non ha retto l’urto del venticello contrario (lo scandaletto di Montecarlo). Tuttavia, se fossi di destra, considerato che da quelle parti svettano due portaborracce come Salvini e Meloni, lo rimpiangerei”.

Dante Virgili ora è introdotto da Saviano per Saggiatore. Un oltraggio?

“Il sottosorvegliato Saviano commette un errore comune a molti lettori: leggere un romanzo come se fosse un saggio filosofico. Inoltre, c’è una piccola dose di malafede: l’odio per il mondo è stemperato dal gesto di soccorso che il “disumano” protagonista compie, unico in una redazione di sedicenti umani, nei confronti di un collega che rischia di essere licenziato. Comunque, il peccato vero è che, contenuti a parte, non dica niente sulla struttura narrativa che per me è di prim’ordine letterario. Per questo, era necessario che ne parlassi io”.

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Michele De Feudis

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