Cinema. “La Macchinazione”, le risposte che disorientano sul destino di Pasolini

Pier-Paolo-PasoliniÈ l’autunno del 1975 e la vita di Pier Paolo Pasolini subisce una drastica impennata. Con il termine “Macchinazione”, l’enciclopedia Treccani definisce: Il fatto di macchinare, attività con cui si ordiscono inganni, intrighi, tranelli o si preparano nascostamente situazioni artificiose a danno d’altri.  Ci sono diverse tesi in proposito ma questa non è la sede per analizzarle e sviscerarle tutte. Il delitto Pasolini ha segnato il dibattito politico e culturale degli ultimi quarant’anni, una vicenda senza dubbio efferata quanto controversa. Semplicisticamente c’è chi, infatti, la ritiene una rapina finita male e chi, invece, il frutto deviato di una strategia ben precisa di cui l’Italia è stata vittima nei primi decenni del secondo dopoguerra. David Grieco, il regista, che è stato amico di Pasolini, ha scritto un libro a tal proposito, intitolato anch’esso La Macchinazione  e ne ha tratto il film omonimo, in seconda battuta.

Originariamente avrebbe dovuto girarlo insieme ad Abel Ferrara (il regista de Il Cattivo Tenente), ma, in seguito a divergenze di intenti, i due hanno preferito girare due film differenti, sia per stile sia per approccio. Grieco vuole intersecare la cronaca alla quotidianità attraverso una chiave psichedelica  scolpendo un ritratto umano del poeta de Le Cenere di Gramsci,  dipingendolo con colori tenui dal quale emergono dolcezza frustrata diventata ritrosia e sfrontatezza mascherata da gusto per la provocazione. Un personaggio gioco forza scomodo, che si pone di traverso, sull’angolo, che non si limita a rappresentare  la propria visione della società attraverso l’arte ma vuole contribuire al cambiamento di un sistema dai meccanismi incrinati, smuovendo e percuotendo lo status quo innalzando, progressivamente, l’asticella del limite.

Le musiche dei Pink Floyd e il ritmo serrato frammentato da visioni oniriche che rendono Pasolini una sorta di profeta/artista vate del secondo novecento, contribuiscono a trasportare lo spettatore nelle emozioni del protagonista. Ci si identifica, si soffre con lui, ci si indigna con lui. La figura di Pasolini è spesso associata a quella di un eroe dai toni epici che, come spesso capita agli eroi dei poemi, cade vittima di un tragico epilogo.

La Macchinazione disorienta e spiazza ma al tempo stesso è in grado di fornire risposte il più possibile esaustive ad amari interrogativi.

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Stefano Sacchetti

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