Il caso. L’eredità politica di Berlusconi tra Renzi e i 5 Stelle

Berlusconi nel tour elettorale in Puglia nel maggio 2015
Berlusconi nel tour elettorale in Puglia nel maggio 2015

Forza Italia è stato il primo partito italiano post-moderno, parzialmente post-ideologico e postdemocratico quanto alla sua composizione dirigenziale. Una formula all’epoca già diffusa negli USA e nel resto d’Europa, ma che ha tardato moltissimo ad attecchire nella nostra Nazione e che consiste nella compresenza di politici puri, rappresentati della “società civile” e professionisti della comunicazione stipendiati.

Questa composizione tripartita rispecchia la necessità di garantirsi l’appoggio di lobby e gruppi d’interessi significativi (tramite gli innesti di società civile) raccogliere consenso gestendo in modo professionale media, sondaggi e opinione di massa (tramite professionisti della comunicazione che concorrono alla definizione della linea politica) e sintetizzare poi il tutto grazie a “politici di mestiere” che conoscano le arzigogolate regole del gioco in uno Stato complesso come quello italiano.

Comprendere che il consenso fosse gestibile e indirizzabile quasi scientificamente non era difficile da pensare, ma difficilissimo da mettere in pratica nell’Italia reduce dall’egemonia democristiana-comunista per ciò che riguardava apparati d’informazione pubblici e privati. Berlusconi in questo è stato un rivoluzionario e c’è poco da dire; ma se l’Italia era pronta alla comunicazione moderna, non lo era però a quell’atteggiamento liberale ma post-ideologico che spesso nelle creature berlusconiane ha nascosto (male) l’assenza di un’identità politica forte. I gruppi di interesse storici, per quanto in difficoltà (sindacati, CEI, pubblico impiego) nell’era berlusconiana erano ancora abbastanza in forze da opporgli un enorme attrito. Quanto al consenso popolare, tuttavia, Berlusconi l’ha saputo gestire e indirizzare come nessun altro nella politica della seconda repubblica.

Il Renzismo come prosecuzione del Berlusconismo

Appare comprensibile, ma non corretto, individuare oggi come sua unica eredità Renzi. Certamente il premier fiorentino ha una abilità comunicativa in parte innata, in parte mutuata dal Cavaliere; ma a differenza di Silvio, Matteo viene da una scuola politica pura e di vecchio stampo: più che postdemocratico è postdemocristiano e perciò più adatto al governo e alla gestione (sudditale) dei rapporti con i poteri forti (interni ed esterni) di quanto Silvio probabilmente sia mai stato. Infine, si muove in un PD che è ancora un partito tradizionale, con correnti personalistico-politiche di vecchio stampo, sezioni, tessere.

I pentastellati come eredi del modello liquido forzista

Se si deve quindi pensare a un erede politico di Silvio oggi quell’erede è paradossalmente il Movimento 5 Stelle. Ovviamente del tutto diverso da Berlusconi perché della generazione seguente, ma è per gli anni dieci del Duemila quel che fu Forza Italia negli anni novanta del secolo scorso. Ha un leader carismatico garante dell’identità del partito (Grillo) e della discontinuità rispetto al passato; una classe dirigente politica esordiente (come i primi uomini Publitalia) fortemente motivata e in formazione; alcune semplici parole d’ordine che ne incarnano la vena fortemente popolare; la presenza fondante e organica di professionisti della comunicazione (Casaleggio & co.) stipendiati per fare il loro mestiere: ovvero spiegare a tutti gli altri cosa, quando e come devono comportarsi per accrescere i consensi del Movimento. Se quindi oggi, celebrando gli  80 anni di Berlusconi, pensiamo di pensionarlo e chiuderlo in una parabola conclusa, ripensiamoci: la sua eredità, personalistica e politica, è destinata a farci compagnia ancora per molto tempo. E non si esaurisce nel solo Matteo fiorentino.

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Andrea Tremaglia

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