LivreDeChevet. “I cinque funerali della signora Göring” e l’amore nel solco del mito europeo

Carin ed Erman
Carin ed Ermann Göring

Una rilettura del romanzo di Pietrangelo Buttafuoco, “I cinque funerali della signora Goring”

Miti, leggende e finanche aderenze realistiche custodiscono avidamente la fenomenologia imprescindibile del carattere dualistico. L’evocazione fantastica possiede il potere di trasferire la dicotomia nell’accadere della vita per meglio illuminarla alla riflessione umana. Il bene e il male, l’oblio e la luce, l’eros e il thanatos figurano motivi inesauribili della storia come cornice e dell’individuo in vita vissuta. L’amore, al di sopra di ogni altro sentimento, serba nel suo stesso seno, la sommità della letizia e la discesa negli inferi in un movimento circolare dove l’uno sfama l’altro. Vive l’incertezza di un istante che può farsi attesa di un’eternità. Sopravvive nell’inafferrabilità del perché due creature, in un preciso palpito del tempo, non possano più fare a meno l’una dell’altra. E accade che le stesse siano lontane, distanti, diverse, impedite da vincoli precedenti o ancora rassegnate inconsapevolmente a un destino situato in una zona grigia che si crede come l’unica.

Carin come rivisitazione del mito di Inanna

Un sortilegio, forziere di pochissimi scelti, giunge come una deflagrazione improvvisa a sconvolgere le vite dei due prescelti, anche nell’esistenze dei loro affetti più prossimi. La cornice storica dove trova posto una delle opere d’amore più inquietanti è al color di pece, ma il dipinto è così magmatico da farsi avulso dalla storia stessa. Il legame indissolubile, indecoroso e dirompente è quello tra la baronessa svedese Carin von Fock e il prima eroe pluridecorato e poi numero due del Terzo Reich nell’unica figura di Hermann Göring. Carin è la maestosa rivisitazione di un mito antichissimo; un’Inanna scandinava attraversata da una duplicità fattasi Dea: bellezza e disgrazia, lealtà e tradimento, ardore e tormento. La signora del Rockelstad (come quella di Uruk) vede la sua casa farsi tempio nel ricordo di una madre, che nell’uragano di cuore, non lascia il marito, ma si vede sciogliere dal suo sangue nel distacco dal figlio Thomas. Quello da Nils Gustav figura come una divisione naturale. Differente la separazione straziata dall’unione apparentemente inscindibile con il figlio: uno smembramento che porta i caratteri del contro natura. Come Inanna, Carin per librarsi in un volo imperiale con l’erede del Barone Rosso, deve necessariamente dapprima passare per gli inferi. Vi è già in parte e da tempo nella malattia che la fiacca nel corpo, e vi indugia nel peccato che le si attacca indosso dal primo sguardo con il demone biondo:

“Uno sguardo e sbocciò l’amore”.

All’occhieggiante carrellata estranea, l’incontro malvagio, quanto inevitabile, accade in Svezia nel febbraio del 1920. La penna accurata e seducente che racconta l’amore infernale tra le due conturbanti creature è quella di Pietrangelo Buttafuoco. L’opera “I cinque funerali della signora Göring” trascina dentro una prosa delicata, un argomento ardente. L’inchiostro aggraziato stempera un’intelaiatura scomoda, all’interno della quale la vicenda si svolge. Ma il lettore viene preso per mano attraverso vari annunci; con un’affermazione in quarta di copertina:

“Questo non è un libro di storia. Questa è una storia d’amore”

La copertina dei “I cinque funerali della signora Goring”

E se ancora sopravvivesse qualche incertezza in merito alla materia trattata, il Sonetto 88 di William Shakespeare all’inizio del cammino svedese, spazierebbe via ogni nebulosa. Il sentimento che trattiene la potenza scardinante di un uragano è in quell’espressione, quasi una formula del battito di cuore di Hermann: “Sempre e dovunque”. Una frase rituale che si fa allegoria, tendaggio di protezione nel rassicurare la dea scandinava. Il loro fardello rappresenta un amore che si fa sospensione dalla vita, dalla morte e dall’impetuoso incedere degli eventi storici. Sono ambedue totalmente nell’oblio degli accadimenti e allo stesso tempo in un altrove dove ogni possibilità di giudizio è vana. L’altura del cuore precipita nella voragine della vita; l’alto porta con sé il basso e tanto più ci si innalza nell’emozione, quanto più la caduta si fa imminente e violenta. È l’abusata regola non scritta con la potenza che l’esperire porta in sé.

Carin, Signora Göring già dopo un mese dal divorzio ottenuto nel 1922 dal primo marito, muore precocemente, fiaccata dalla malattia e dal dolore per la perdita della madre. Hermann, il suo Hermann, proprio in quel momento è assente, un’assenza che si farà ossessiva ricerca di riparo nella degna sepoltura della donna.
Il corpo senza vita di una delle più belle donne di Svezia, anche nella fine non trova quiete, un errare che era già profezia nell’assenza di serenità sin dal primo incontro:

“… avendo i demoni quell’arte misteriosa di mutare il presagio di tragedia in una grandiosa felicità, per giunta d’amore”

Nel peccato dei peccati, nell’aver amato un delirio delle tenebre e nell’aver capitolato davanti alla purezza del fanciullo – il suo – il peregrinare dei resti figura come l’anima che non trova pace. Dopo cinque esequie, la dea dell’urto dicotomico, giunge alla tregua vitale solo in Svezia con la sepoltura nella tomba di famiglia.

Hermann e Carin Göring

La penna di Buttafuoco, in una metafora tutta cinematografica, appare come l’inquietante macchina da presa di un regista di genere, David Lynch: immagini chirurgicamente perfette si fanno voce dell’oscuro che abita l’essere umano. Una necessità per l’individuo di cimentarsi con il proprio versante tetro. La nitidezza dell’inchiostro, come lo stupore delle sequenze cinematografiche, si accomoda nel lugubre: il non visibile, il fosco che si fa luce all’interno di un amore maledetto tra due creature spogliate dalla benedizione divina e umana.
“I cinque funerali della signora Göring” in una duplice prospettiva che circoscrive l’opera, entra, per la dimensione a tratti onirica, in un contesto tutto di leggenda: la “Den Game Tro” svedese. E con i tratti del mito e di una curiosa epopea, resta indosso come il libro da riprendere in un’inevitabile rilettura. Così, alla maniera dei classici.

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Isabella Cesarini

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