Idee. La rivoluzione (per Holderlin) come equilibrio tra tradizione e innovazione

Revolucion!
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Alcuni anni fa, scrissi un libro su Hölderlin e il suo rapporto con la Rivoluzione francese e l’idea stessa di rivoluzione. Per Hölderlin, la rivoluzione deve essere non solo abbattimento della tradizione, ma equilibrio tra innovazione e tradizione: elaborazione dello scarto tra libertà e destino e allo stesso tempo consapevolezza di quello scarto – che nessuna autonomia illuministica potrà rimuovere – per il quale ci sarà sempre bisogno di una risposta simbolica. Destino mortale e grande politica si tengono, oltre ogni vuoto moralismo repubblicano e titanismo violento. La grande politica non può che avere allora carattere mitico, poiché in essa è coinvolto un intero popolo che elabora collettivamente l’attraversamento del destino, senza rassegnarsi a esso e senza tentare scorciatoie violente.

La politica assume così uno spessore esistenziale tale da poter parlare al cuore di tutti, proprio perché in essa non è implicata una teoria politica in senso stretto. Tale spessore esistenziale fa sì che il gruppo sociale rivoluzionario sia in grado di svolgere una funzione egemonica anche nei confronti del gruppo avversario che si è opposto al cambiamento o non ha saputo comprenderlo immediatamente. Se la questione della liberazione ha a che fare con il sentimento totale della vita, con l’affermazione della totalità e quindi con la mediazione fra finito e infinito, come possibilità di esprimere tutte le potenzialità dell’umano, allora i rivoluzionari saranno in grado di parlare a tutti e di coniugare così innovazione e tradizione. A Hölderlin era chiaro che vecchi modi di pensare o vecchie consuetudini potevano rappresentare un argine all’individualismo e alla frammentazione sociale del nuovo sistema capitalistico che si stava affermando con la borghesia dopo la Rivoluzione, nonché al potere impersonale della legge che libererà sì dal giogo feudale, ma lascerà tutti soli in balia dell’incertezza e del potere di chi ne sa di più.

È allora interessante notare che, quasi due secoli dopo, Ernst Bloch porrà la stessa attenzione e utilizzerà categorie simili nell’interpretare il nazismo, cioè il radicalismo di destra che veniva crescendo in Germania dopo la Grande Guerra: 


«Per questo ho detto: l’errore stava in ciò che i comunisti non hanno fatto. Il non-fatto rappresentava una lacuna, e la sua forza di attrazione era straordinaria. Espressioni come “sangue e suolo”, o come “Führer”, sono una calamita per il popolo, e così la distinzione per rango e non per censo, giacché il capitale non ha rango, ma bada solo a ottimizzare il profitto. E anche nel ritorno al passato c’era qualcosa di sostanziale: il vecchio artigiano era una cosa ben diversa dall’operaio di fabbrica, addetto a un telaio meccanico o a una catena di montaggio. Gli artigiani avevano le loro tradizioni e i loro canti: potevano ancora cantare, mentre i proletari hanno quasi perso l’abitudine e la possibilità di farlo. I nazisti, irretiti nella non-contemporaneità, hanno saputo sfruttare questo stato di cose, mentre l’opposizione proletaria, rivoluzionaria, si è posta solo obiettivi attuali, up to date, all’altezza del proprio tempo. Ma quando si parla dall’alto del proprio tempo la nostalgia romantica per il passato — che è appunto un anacronismo — diventa inservibile, non trova più le parole per esprimersi e un destinatario a cui rivolgersi. I nazisti invece si sono richiamati al passato: quelli erano tempi, quelli erano uomini veri, gente d’azione, non come la feccia proletaria e i chiacchieroni di Berlino. Perfino Thomas Münzer fu investito dai nazisti di un significato analogo. E questo solo perché i socialdemocratici prima, e i comunisti poi, non hanno saputo vedere la ferita, non hanno saputo ascoltare la voce confusa di un’epoca in cui il capitalismo non godeva affatto di buona salute. Fu così che i nazisti poterono inventare una cosa del tutto inedita: il radicalismo di destra» (Intervista rilasciata da Ernst Bloch nel 1975, citata da M. Frank in Id., Il dio a venire. Lezioni sulla Nuova Mitologia, Einaudi, Torino, 1994, p. 22).

Vediamo qui come Bloch ci richiami alla persistenza di certi valori pre–moderni e anticapitalisti che vennero utilizzati dai nazisti, ma non dai comunisti in Germania. La sinistra — ci dice Bloch — si contraddistinse per il proprio razionalismo ottimistico, senza pensare che il comunismo poteva e doveva avere una radicalità e profondità esistenziale di contro alla frantumazione del modello di vita borghese e all’insicurezza generata dal mercato e dall’economia capitalistica. Insomma, la sinistra tedesca non si era posta il problema — già chiaro invece al rivoluzionario Hölderlin — di portare e comprendere elementi del tempo passato in quello nuovo.

Un tale salto temporale non sembra azzardato, dal momento che penso che l’aver abbandonato il tema del rapporto tra intellettuali e popolo abbia comportato che il pensiero della rivoluzione socialista nei due secoli successivi sia stato poco profondo soprattutto dal punto di vista antropologico.

E pare che proprio in questi ultimi tempi i nodi stiano venendo di nuovo al pettine…

*intellettuale di sinistra, tra gli animatori del magazine Il militante ignoto

@barbadilloit

 

Claudio Bazzocchi *

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