Esteri. La confraternita sufi Naqshbandiyya e l’islam politico in Turchia fino a Erdogan

sheikr Mehmed Zahid Kotku (1897-1980) del ramo Gümüshanevi della confraternita
sheikr Mehmed Zahid Kotku (1897-1980) del ramo Gümüshanevi della confraternita

“C’è un filo rosso che permette di ricostruire la storia di molte società islamiche fra Asia ed Europa. E’ un ordito che attraversa il tempo e lo spazio, collegando idealmente il primo califfo, Abu Bakr (573-634), agli uiguri nella Cina comunista fino alle purghe del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. E’ la Naqshbandiyya, la confraternita sufi dedita alla conservazione dell’identità islamica”: su questa traccia si muove l’analisi di Alessandro Grossato, illustre orientalista della Facoltà teologica del Triveneto, intervistato dal Foglio.  “Là dove l’islam è messo al bando – la Turchia kemalista o i regimi comunisti sovietici – l’azione della confraternita è più incisiva, compendiando l’assistenza alla popolazione con l’attiva, e spesso segreta, attività politica”.

L’arte della dissimulazione

Grossato enumera i successi ottenuti della confraternita attraverso l’arte della dissimulazione, con i suoi membri capaci di celare l’appartenenza all’organizzazione, “ma soprattutto la propria identità islamica, arrivando al punto di rinnegarla esteriormente”. I russi hanno per primi misurato la forza della Naqshbandiyya, “vuoi per il suo ruolo essenziale nella rivolta anticomunista e antirussa in Afghanistan fra il 1979 e il 1989, vuoi per la ritrovata vitalità dell’islam nell’Asia ex sovietica, dove alti dirigenti comunisti “sono stati in segreto sia musulmani sia naqshbandi”.

Giò nel 2010 sulla Rivista di Politica Grossato leggeva la Turchia alla luce della Naqshbandiyya. “In tanti credevano che il partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) di Erdogan fosse una versione turca della Democrazia cristiana e davanti alla mia analisi fecero spallucce. Un abbaglio diffuso”. Nel suo articolo l’orientalista ricordava una serie di primi ministri turchi naqshbandi come Turgut Özal (poi capo dello stato), Necmettin Erbakan e lo stesso Erdogan. Tutti allievi dello sheikr Mehmed Zahid Kotku (1897-1980) del ramo Gümüshanevi della confraternita; tutti impegnati a riportare la Turchia sulla via dell’islam e tutti osteggiati dai militari.

La Turchia nell’Ue

La richiesta di adesione all’Europa è strumentale al progetto della confraternita. Nel 1987 “Özal aveva compreso che un’integrazione nell’Europa avrebbe costituito la miglior garanzia di libertà d’espressione per l’Islam turco, sia sul piano religioso che su quello politico”. Sono stati proprio i criteri di Copenhagen del 1993 pensati dall’Unione europea per l’adesione dei paesi centro-orientali a permettere modifiche costituzionali che hanno scardinato l’impianto kemalista. Messi i militari nell’angolo e modificato il meccanismo per eleggere i giudici, oggi “Erdogan si è lasciato alle spalle l’Ue e forse l’intero occidente. Si può dire che il progetto neocaliffale può partire solo adesso, grazie al fallimento dell’ultimo colpo di coda degli eredi di Atatürk”. Il padre della Turchia moderna abolì il califfato nel 1924 ma la sua restaurazione è possibile. “Ancora oggi il buon musulmano va a chiedere i miracoli sulle tombe dei califfi, figure carismatiche e molto amate, paragonabili ai santi medievali. E’ anche grazie a loro che il sufismo è così popolare”. Il progetto non comporta né la nomina dello stesso Erdogan quale prossimo “vicario” del profeta né tantomeno che il califfo a venire debba seguire le orme violente dell’autoproclamato califfo al Baghdadi dello Stato islamico. La tradizione sufi impone il rispetto delle altre fedi, “e tutti i sultani ottomani, compreso l’ultimo, erano membri della Naqshbandiyya”.

Gulen estraneo alla tradizione sufi

Grossato infine, ricorda come Erdogan ora guarda alla Russia e alla Cina, e come il suo ex alleato Fetullah Gülen sia estraneo alla tradizione sufi: “Il teologo di scuola hanafita Gülen non è stato iniziato ad alcuna confraternita. Anzi, come ha sempre sottolineato, non considera affatto necessaria tale appartenenza per un buon musulmano”. I suoi riferimenti al sufismo “sono sempre stati di carattere prevalentemente letterario. E se la sua strada e quella di Erdogan si sono incrociate per diversi anni, è stato per semplice calcolo politico”.

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Rui Barros

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