Cinema. “It follows”, verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Capolavoro? No, ma per pochissimo

it followsDistribuito finalmente in italia due anni dopo la sua uscita statunitense, “It follows” è un horror che non abusa di spaventi e colpi di scena, ma metafisico ed esistenziale e che dal punto di vista cinematografico gioca eccellentemente con i cambi di ritmo, tra una quiete sempre tesa e un dinamismo mai confusionario.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
Il “cattivo” è così insolito da non sembrarlo, pur essendolo indubitabilmente: è un’entità lenta, al punto da sembrare innocua, eppure inesorabile e inarrestabile, funzionale alla grande allegoria messa in scena da questo film. La protagonista stessa più che una vittima sembra una malata terminale cui è stato diagnosticato un male incurabile: gli amici che le stanno accanto per confortarla e aiutarla non possono in realtà fare nulla per salvarla. L’antidoto c’è, ma capiremo presto che si tratta solo di un diversivo, non di una soluzione definitiva. Questo perché non c’è una soluzione definitiva; il regista/sceneggiatore, se non lo avessimo capito da soli, lo dice verso la fine della pellicola citando Dostoevskij: la tragedia più grande della vita è la assoluta certezza che un giorno non ci saremo più. Che la persona che siamo cesserà di esistere.

La morte come malattia sessualmente trasmissibile
Si tratta di un’idea talmente semplice e immediata da essere clamorosa. Schopenauer applaudirebbe. La distrazione del sesso, come quella dell’amore, sono solo palliativi non risolutivi. “It follows” racconta così di una grande fuga che non è una fuga; un continuo muoversi a fronte di un nemico lento, facile da evitare, ma impossibile da sconfiggere. Un nemico che ha sempre un volto diverso: proprio come la morte, che possiamo riconoscere in un servizio al telegiornale, in casa nostra, o sul volto di un amico. Sempre vicina, ma senza sapere mai quanto, la riconosciamo solo quando ci guarda in faccia e punta dritta contro di noi.

Chi grida al capolavoro forse esagera, ma non di molto
Una volta tanto la scuola dell’horror orientale, fatta più di silenzi e di invisibile che di esplosioni e splatter, riesce a fondersi con la dimensione esistenziale del miglior horror, in un felice connubio che ha anzitutto il merito di far vedere che “un altro mondo” cinematografico è possibilissimo. Tanto ci sarebbe da dire sul fatto che questo film, presentato a Torino nel 2014 e distribuito nello stesso anno negli USA, ha impiegato due anni a trovare una distribuzione italiana, soprattutto grazie ai nerd nostrani. Tanto anche sul fatto che molti di quelli che lo andranno a vedere in sala l’hanno già visto in streaming. Ma non lamentiamoci troppo: l’importante è che sia arrivato e che chi ha voglia di scoprire come si può fare cinema horror senza essere banali investa i soldi, ben spesi, del biglietto.

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Andrea Tremaglia

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