L’intervista. De Angelis: “A Roma si misura chi ha consenso tra le destre. Poi un nuovo inizio”

Marcello De Angelis
Marcello De Angelis

“Le elezioni di giugno? Siamo alla ricerca di un nuovo inizio dopo tanti fallimenti”: ecco l’analisi di Marcello De Angelis, giornalista e scrittore (in libreria con il romanzo C’è un cadavere nel mio champagne, Idrovolante edizioni), già direttore di Area e del Secolo d’Italia nonché parlamentare di An. Ecco un articolato dialogo su destre, sceneri legati alle elezioni amministrative e orizzonti europei con i populismi in crescita in Francia, Germania e Austria.

Marcello De Angelis, le amministrative del 1993 segnarono la riscossa delle destre, che di colpo scoprirono di poter ambire a responsabilità di governo. Le comunali del 2016, invece, che scenario presentano?

Il 1993 giungeva dopo mezzo secolo di esclusione della destra – l’unica che c’era – dal consesso civile e dopo il crollo del pentapartito spazzato via da Tangentopoli. Il 2016 arriva dopo venti anni in cui le destre (questa volta è d’obbligo il plurale), o se vogliamo il “centrodestra” – che pure significa ben poco come categoria politica – hanno avuto accesso a tutti i livelli di potere che avrebbero permesso se non di fare una rivoluzione almeno di segnare il proprio passaggio con qualcosa di significativo. Voglio dire: il 1993 è stato l’inizio dopo la fine dell’esclusione, ora siamo alla ricerca di un nuovo inizio dopo un indiscusso fallimento.

Milano, centrodestra unito; Roma centrodestra diviso in tre o più spezzoni. Perché manca uno schema unico?

Manca uno schema unico proprio perché siamo all’indomani di un enorme fallimento, anzi di una lunga serie di fallimenti. Fallimenti che vanno per forza imputati a qualcuno secondo la logica per cui alla massima autorità corrisponde la massima responsabilità. Riesce ad alcuni indigeribile che i protagonisti assoluti di venti anni di errori ritengano di dover essere ancora loro i protagonisti assoluti e decidere loro dove si debba andare da ora in poi. A Milano e Napoli è prevalso il lucido calcolo aritmetico che propone come schema un “centrodestra inclusivo” con candidati di sintesi che non vengono dalla politica. Ma Roma è un’altra cosa. A Roma c’è un indiscusso radicamento popolare di destra storica e ci sono personalità della politica che hanno un pedigree indiscutibile e incensurabile che li rende di gran lunga più autorevoli e plausibili di qualunque candidato della società “impolitica”, tecnica o imprenditoriale.

Poi, a voler essere sinceri, ci sono anche dei problemi che si sono verificati nella discussione sul candidato. All’inizio – diciamo un anno fa – c’era una sostanziale unanimità sulla candidatura della Meloni, ma lei ha detto che non era interessata. Poi si era manifestato un consenso molto ampio sulla candidatura di Marchini, che risponde al modello Parisi e Lettieri. Anche Salvini era d’accordo, ma la Meloni ha detto che non andava bene, per la sua storia personale e per gli interessi che potrebbe rappresentare. A quel punto il centrodestra è entrato in confusione, con nomi proposti e ritirati, accordi che duravano pochi giorni e alleanze che si rimescolavano. La confusione ha riguardato veramente tutti. Basta guardare cosa è successo intorno alla lista Salvini, con Casa Pound che si allontana e molti transfughi di An che si ricollocano. Storace, ovviamente, dinanzi ad una candidatura unitaria di Marchini che lasciava un vuoto a destra scende in campo, ma quando Meloni ci ripensa si trova schiacciato e si ritira a favore di Marchini.

Il laboratorio Roma in queste amministrative cosa è diventato? Ring per il braccio di ferro tra ex colonnelli di An alloggiati con i propri candidati tra Marchini e Meloni? C’è il rischio beffa che la somma di queste candidatura valga l’accesso al ballottaggio, con le urne del primo turno lì a premiare Raggi dei 5Stelle e Giachetti radicale del Pd?

Non so se si possa parlare ancora dei colonnelli, ormai sono tutti sulla zattera della Medusa. An è esplosa e suoi rappresentanti si sono incastonati in tutte le liste. Ma lo stesso è accaduto in altre parti d’Italia. In realtà anche Forza Italia è sufficientemente allo sbando. Ma non ci dimentichiamo che a Roma come altrove i big dell’attuale Forza Italia sono ex An, come Gasparri e Aracri. La Lista Salvini, come dicevo, è il nido del cuculo di altri ex-An. Augello, De Lillo, Piso e molti altri sono con Marchini, mentre Rampelli e i suoi sono, ovviamente, con la Meloni.

La domanda è: con chi sono gli elettori? I sondaggi sono una pessima droga che fa male alla politica, ma se li prendiamo come semplici segnali di tendenza non possiamo non notare alcuni fatti importanti: il primo è che un listone di destra-centrodestra sarebbe il primo partito a Roma senza concorrenti. Se facciamo la tara dei sondaggi (e non la somma) vediamo che lo zoccolo duro della destra romana è ancora quel 35/36 per cento che portò Alemanno al Campidoglio. E questo malgrado il bombardamento mediatico-giudiziario su Mafia Capitale e il tentativo di creare una identificazione tra il mondo del malaffare e la destra capitolina. Tentativo evidentemente fallito, perché i romani non ci hanno creduto. Un listone unitario quindi sarebbe partito al primo turno con consensi enormemente superiori a quelli della Raggi, che ha goduto in campagna elettorale della suggestione mediatica del primo posto. Il Pd rimaneva in coda.

Cosa può succedere domenica? Il peggio per tutti sarebbe che al ballottaggio ci ritrovassimo Raggi contro Giachetti. Forse qualcuno godrebbe per aver fatto fallire il tentativo di affermazione della Meloni, ma sarebbe come chi si taglia gli attributi per far dispetto alla moglie. In politica non esiste il mal comune mezzo gaudio. Tutti pensano che poi, all’indomani di una comune sconfitta, i vari spezzoni saranno costretti a mettersi intorno a un tavolo per ricomporre il centrodestra in vista delle sfide nazionali e che il senso del braccio di ferro romano sia su quale natura dare al prossimo centrodestra, se avrà un’anima più centrista o più di destra, se più tecnocratico o più populista, se ancora a guida Berlusconi o a guida Salvini. A mio avviso sono analisi frutto della deviazione professionale dei cronisti, portati a fare dietrologie su tutto quello che non ha una apparente spiegazione logica. Invece la politica è fatta da esseri umani, quindi spesso è influenzata da fattori irrazionali che non sempre si piegano alla logica.

Con le destre europee che crescono, come in Austria, in Italia si registrano ancora alleanze confusionarie e tesi programmatiche piene di contraddizioni. Da dove ripartire? 

Tutte le destre europee di successo sono destre nuove e non sono necessariamente destre come le intendiamo noi. Io conosco molto bene il caso francese e poco quello austriaco. Oggi, nel Front national di Marine, la destra storica francese è rappresentata forse al 5 per cento. L’elettorato è prodotto dalla contingenza e non da un percorso storico, la comunicazione politica è condizionata assolutamente dall’attualità e non da un bagaglio culturale o una visione politica radicata. In Italia invece, anche se residuale, la cultura e le radici politiche esistono ancora e non si è mai smesso di fare analisi, confrontarsi, elaborare. Ci sono ancora antropologie che difficilmente possono coesistere, anche se sopra tutte sembra prevalere, anche a destra, quella dell’imbattibile trasformismo italiota, il nostro nemico di sempre.

Arriva il referendum sulla riforma costituzionale. Le destre difenderanno la costituzione antifascista?

Non è questione di fascismo o antifascismo. La Costituzione è un regolamento, cambiare le regole in corso d’opera è sempre sleale e si fa a beneficio di chi in quel momento è il vincitore. Anche le leggi elettorali si cambiano per favorire il più forte più che per tutelare il più debole. La Costituzione va cambiata tutta, o lasciata com’era, perché comunque è il frutto di una notevole ricerca di un equilibrio. Un equilibrio che ora è compromesso, con lo strapotere del giudiziario sul legislativo e con una modifica degli assetti che ha distrutto l’autorevolezza e la sovranità nazionale a favore di poteri avversi, come quello europeo e quelli delle regioni. Secondo me si stava meglio con le province e un forte parlamento nazionale e sarebbe bene abolire le regioni, che sono fonte di sprechi, malaffare e indeboliscono la coesione del popolo italiano. Io voterò no al referendum. Forse questo farà saltare anche l’Italicum e renderà necessario tornare al premio di coalizione. Questo costringerebbe i vari sedicenti centristi e le varie destre alla deriva a mettersi una mano sulla coscienza e decidere cosa vogliono fare nel prossimo futuro.

Marcello De Angelis con la copertina del nuovo romanzo Idrovolante

La destra si sta caratterizzando come forza anti-europea. Non sarebbe il caso di perdere un po’ di energie nel distinguere l’Ue dall’idea di Europa (imperiale)?

Temo sarebbero appunto energie perse. Temo che quando ci concediamo il lusso di parlare di cose così intelligenti ci parliamo tra noi e non influenziamo minimamente il mondo che ci circonda. Certo, l’Impero è un’altra cosa rispetto all’Unione dei banchieri e dei burocrati, ma anche l’Europa nazione che propugnavamo negli anni Sessanta e anche l’Europa realmente federativa proposta da Proudhon alla fine dell’Ottocento. Qui il problema è sempre lo stesso. Come diceva Machiavelli: “la prima virtù della politica è esserci”. Dov’è l’Italia? Dove sono gli italiani? Dov’è la destra popolare, nazionale e sovranista? Per vincere una partita bisogna avere una squadra, mettersi una maglia, scendere in campo e combattere, possibilmente passandosi la palla e senza farsi lo sgambetto. Se non si gioca non si vince. E non si può giocare a canasta quando tutti giocano a rugby. Ora ci vorrebbe qualche buon giocatore, invece noi abbiamo solo aspiranti allenatori, capitani o addirittura presidenti. Dopo una retrocessione in classifica generalmente si rinnova la squadra e anche la dirigenza. Possibilmente con delle prove sul campo e non con i casting televisivi tanto cari a Berlusconi. Forse il pasticcio di Roma servirà almeno a misurare chi fa strategie di palazzo e chi invece macina per strada, chi cospira e chi raccoglie consensi. Non è che dalla democrazia dobbiamo aspettarci che produca dei costruttori di imperi, da un asino non può nascere uno stallone. Ma aspettiamoci e auspichiamo almeno un meritato giro di boa.

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Michele De Feudis

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