Vincenzo non è Pantani, è altro. Già perché ogni campione lo è a modo suo. Se il Pirata non ce l’ha fatta a scalare la vita così come ha fatto con le Dolomiti; Nibali ha vinto la morte che aveva nel cuore a testa bassa e con le strategie disegnate da quelli del team Astana. È vero, quando si hanno dei gregari di livello e dei manager con gli attributi spesso la vittoria arriva. Ma quando ti muore un “figlioccio”, il quattordicenne Rosario Costa, appena prima di salire in sella in una delle competizioni più importanti al mondo, qualcosa sotto i piedi manca, e non sono i pedali. Non sono affatto loro.
Ci ha messo la testa e il cuore, Vincenzo. Ha trionfato: ha messo ha tacere i gufi, corvi, diventando aquila. Così si strappa tra le salite e le discese di Sant’Anna di Vinadio un minuto a Esteban Chavez – altro eroe in positivo di questo giro. Pazza idea. Uno come Nibali farebbe bene anche in politica. Lui è uno di quelli che le tappe le porta a termine, le onora. Non si dimetterebbe come un Cuffaro o un Lombardo qualsiasi: uno così non ci finirebbe in certe storiacce tinte di ombra.
Troppo sportivo, troppo serio, troppo umile, Vincenzo. E non annuncerebbe neanche alcuna rivoluzione per poi farsi ricattare dai partiti gregari e premier toscani. Lui la rivoluzione la farebbe. Punto e basta. Vetta dopo vetta, fatica dopo fatica. Intanto il miracolo gli è riuscito: unire i siciliani. Mica poco, in fondo. Ci pensi Nibali a quella candidatura, sarebbe un giro indimenticabile.