Politica. Il tramonto del popolo dei moderati e la fine di un’epoca

Dinamo Innesco Rivoluzione è un progetto artistico-attitudinale, per nulla democratico, per nulla diplomatico, per nulla moderato
Dinamo Innesco Rivoluzione è un progetto artistico-attitudinale, per nulla democratico, per nulla diplomatico, per nulla moderato

Non manca mai occasione, durante un dibattito o talk politico, che ad un certo punto intervenga l’ospite più marcatamente legato al ventennio della seconda repubblica, e più in generale al mondo berlusconiano, per lanciare l’appello all’unità del famoso e mitologico “popolo dei moderati”. Ma chi sono o meglio chi erano i moderati in Italia? Parliamo del cosiddetto ceto medio, degli artigiani, dei piccoli imprenditori e più in generale del tessuto produttivo italiano formatosi successivamente al boom economico. Ma anche dell’impiegato con la certezza del posto fisso, delle famiglie cattoliche e praticanti, molto spesso monoreddito, in cui la mamma casalinga fa la catechista ed il papà paga un mutuo ventennale per l’acquisto della agognata casa a suggello dei sacrifici di una vita. Stiamo parlando nei fatti della “maggioranza silenziosa” di ispirazione moderata e conservatrice che, seppur spesso assente dai dibattiti politico-culturali, si è fatta sentire – e tanto – nelle urne, ricercando il partito o l’area politica più “governativa” e meno incline a rotture traumatiche del “sistema” in vigore. In gran parte affascinata, sedotta e per certi versi anche abbandonata dal centro-destra a trazione berlusconiana dopo la mancata promessa della rivoluzione liberale, tale categoria sociale ed elettorale del Paese ora vive una precarietà mai registrata dal secondo dopoguerra.
Oggi evocare l’unità del popolo dei moderati, infatti, oltre che una forzatura stante la frammentazione dell’elettorato, è una vera e propria illusione in quanto il ceto medio – ossatura della maggioranza silenziosa – è in realtà economicamente fortemente compromesso, socialmente disunito e culturalmente senza riferimenti.
Lo storico e saggista Aldo Schiavone sul Corriere della Sera ben descrive un intero mondo finito in pochi anni come quello della borghesia delle imprese radicate sul territorio e delle professioni intellettuali dominate dalla cultura umanistica. “Scompare – commenta Schiavone in riferimento alla fine delle ideologie e della supremazia dei grandi partiti di massa – un’intera architettura sociale, e con essa una maniera di costruire e di rappresentare il rapporto di ciascuno con la propria esistenza”.
Come si fa allora a parlare ad un “popolo” che non c’è più e che farebbe benissimo a definirsi “incazzato” piuttosto che moderato? Scarsi aiuti alle famiglie, nessun incentivo alla natalità, nessun vero taglio alla tassazione sulle piccole e medie imprese ad esempio: chi politicamente invoca ancora il voto moderato ha fatto poco perché quel ceto sopravvivesse economicamente e socialmente ai cambiamenti radicali in atto ed alla crisi economica. Chiamare a raccolta, quindi, i moderati e ricercare l’unità dei suoi presunti rappresentanti, è una palese ed evidente contraddizione in termini che ormai nuoce elettoralmente a chi non riesce più a fare i conti con la realtà.
La Terza Repubblica, nata nell’epoca della “democrazia liquida” e della “rottamazione”, ha bisogno di basi ideali e programmatiche chiare, di una sana dose di realismo, magari di nuovi riferimenti nella politica estera ed in quella economica, di proposte rivoluzionarie che non minino però al contempo lo spirito moderato, quello sì, che in Italia è largamente ancora presente e maggioritario. Il centro-destra italiano inteso nella sua recente ventennale accezione, seppur oggi sempre più fronte sovranista ed identitario, dovrebbe avere l’ambizioso obiettivo di ricreare le condizioni etiche, morali ed economiche affinché a quel ceto, oggi disintegrato elettoralmente ed economicamente, venga consentita la possibilità di riemergere dalle secche nelle quali si trova e di reagire. Occorrerebbe rivolgersi però a tutti abbandonando schemi preconcetti, tenendo ben presente che alle nuove generazioni, oggi contemporaneamente sia  disaffezionate dalla politica che anche tra le più colpite dalla crisi e con la certezza di non poter vivere tra gli agi dei propri genitori, non si può parlare lo stesso linguaggio del passato utilizzato, tra l’altro, dagli stessi interpreti della seconda Repubblica.

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Lorenzo Di Cosmo

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