L’intervista. Gennaro Nunziante: “Quo Vado? racconta il lavoro e la crisi dell’Italia”

Una immagine di Quo Vado? con Checco Zalone
Una immagine di Quo Vado? con Checco Zalone

Geniale artista creativo, della parola e delle immagini, Gennaro Nunziante, alla vigilia dell’uscita nelle sale della commedia “Quo vado?” con Checco Zalone, offre uno sguardo non conformista su cinema, lavoro, politica e polemiche baresi.

Nunziante, l’idea del “posto fisso” fil rouge del film?
“Per contrastare l’avanzata del comunismo, i democristiani indicevano concorsi statali e assumevano migliaia di dipendenti. Gli impiegati hanno salvato la democrazia nel nostro Paese. Questo retaggio assistenzialista è arrivato fino ai nostri giorni”.
Come racconta il mito “assistenzialismo”?
“Con spirito futurista: provarsi a vivere senza paure, aprirsi al nuovo mondo con un atteggiamento di curiosità”.
Una pellicola sul lavoro nei nostri giorni?
“Abbiamo perso il nostro vicino, lo viviamo come un nemico. Il datore di lavoro avverte il suo dipendente come un problema invece che una risorsa, il dipendente a sua volta non prova senso d’appartenenza alla sua azienda; in più, imprenditore e dipendente vedono il domani come una tragedia e così l’imprenditore diventa avido di guadagni immediati a scapito delle regole più elementari di civiltà e il dipendente lavora in maniera pessima sapendo che il suo datore di lavoro è uno speculatore. La politica deve legiferare tutele con spirito d’imparzialità. Il film presenta un accento deciso sul senso di “riconciliazione”. Se non riconcili tutte le parti non vai da nessuna parte”.

Luca Medici, in arte Checco Zalone e il regista Gennaro Nunziante: una coppia da record

Una nuova tappa per Zalone?
“Per me un artista deve svelare, mostrare in un altro modo quello che hai sotto gli occhi. Tutti saranno passati davanti a un campo di girasoli ma poi è passato Van Gogh e ce li ha mostrati. L’artista svolge questo compito non con l’arroganza della certezza ma con l’umiltà dell’incertezza”.
Dopo Gramellini da Fazio, chi sarà il prossimo?
“Luca Medici sta lavorando su una traccia riguardante il maestro Muti, un direttore d’orchestra che non si fa capace di condividere lo stesso pianeta con noi miserabili”.
E’ cambiato, dal primo film, il modo di guardare l’Italia di Nunziante-Zalone?
“Ogni nostra commedia è il racconto di una stagione del nostro Paese. Siamo partiti dal nord e sud, siamo passati per l’integrazione e terrorismo, poi la crisi economica, adesso il lavoro e la nostra futura identità”.
Avete scelto un lancio senza trailer.
“In passato il pubblico arrivava al cinema sapendo già le battute. Stavolta è come un regalo da scartare in sala”.
Guardando alla Puglia, resta un laboratorio politico?
“C’era un laboratorio politico in Puglia? Mi devo essere distratto. A Bari i finti e defunti partiti della sinistra sono stati costretti da uomini della società civile ad accettare candidati esterni. Tutto il lavoro politico pugliese è avvenuto fuori dai partiti, Toti e Tata, Silvia Godelli, Franco Cassano e Città Plurale, la casa editrice Laterza, il Corriere del Mezzogiorno e Repubblica Bari; dagli anni novanta al duemila sono state le uniche voci contro il potere consociativo d’allora. Sempre per spirito di verità va detto che il lavoro politico fu facilitato dalla prematura scomparsa di Tatarella”.
Andrà a sentire Gigi D’Alessio (concerto in piazza per capodanno molto criticato dalla sinistra intellettuale ndr)?
“Forse mi affaccio. Ho conosciuto Gigi D’Alessio molti anni fa, persona semplice, generosa. Truffault amava le canzonette romantiche, diceva che erano cariche di verità”.
Le polemiche sul concertone?
“Io chiederei a quegli indignati, trovano accettabile che con le tasse della povera gente sia stato ricostruito il Teatro Petruzzelli e poi consegnato a un pubblico di ricchi che può permettersi di comprare un biglietto per la stagione lirica sempre pagata con le tasse della povera gente di cui sopra? Se ritiene che la domanda sia troppo di sinistra per il Corriere la tolga pure dall’articolo”. (dal Corriere del Mezzogiorno del 31 dicembre 2015)

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Michele De Feudis

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