QuoVado?/3. La sala ride con Checco Zalone. Renzi e Repubblica?

Checco Zalone
Checco Zalone

In Quo Vado? c’è tutto, proprio tutto. Anche ciò che i critici non vogliono riconoscere a Luca Medici, alias Checco Zalone: il genio. Da dove questo bisticcio? Dal fatto che la sua comicità non si arrende ai luoghi comuni incipienti. Chiamatelo pure scorretto. Ma in lui c’è un fattore di semplicità che lo pone fuori dalle dispute di bottega e lo fa entrare dritto dritto nella pancia, nel cuore e nella testa degli italiani. La ricetta è semplice quanto la pasta-aglio-olio-e-peperoncino (e per questo altrettanto buona): leggere la realtà con categorie non sempre calate dall’alto.

Zalone, smaschera i nuovi “mostri”. Così – alla faccia degli esterofili e dei moralisti di professione – ciò che sta a nord dell’Italia non è sempre sinonimo di perfezione. E ci mancherebbe. Ma anche che non te ne fai nulla di vivere in un paese «civile», con file alla posta ben allineate, dove nessuno suona il clacson ai semafori, se poi il tasso di suicidi è alle stelle e il Sole – sì, il Sole – scompare per sei mesi l’anno. La verità è che per vivere bene ci vuole «l’educazione». Già, quella stessa categoria che ti fa comprendere che se fai passare avanti alla cassa qualcuno che ha soltanto una bottiglietta da pagare, in fondo, non casca mica il Mondo.

Insomma, c’è questo. Ma anche altro. Partendo dalla difesa estrema di quel posto fisso che ha segnato la grandezza sociale di una Nazione.  Oggi, però non è solo una chimera, ma un male metafisico. Per una strana osmosi, ciò che il sistema non riesce più a garantire in termini di coesione – di negazione in negazione – non diventa più il fallimento di un modello (economico-politico, sic), ma la colpa degli ultimi della filiera. Così un posto garantito diviene il segno dell’inguaribile arretratezza italica. Lo dicono i signori dei mercati finanziari, i tecnici dei conti pubblici e qualche ruffiano. C’è da credergli? Forse no.

È chiaro che il posto fisso in stile primo repubblicano è al vertice di molti vizi nostrani, ma le cure somministrate finora sono spesso peggiori del male, se non dei meri palliativi. Così arriva la cancellazione delle Province che all’atto pratico si sta risolvendo in un travaso collettivo di competenze che non fanno risparmiare un euro a nessuno. E mentre i grillini sbraitano, e Matteo Renzi mette in agenda riforme e referendum costituzionali tra l’indifferenza della stampa che conta, Zalone fa partire una scoppola che con il politichese c’entra ben poco. Intanto in sala si ride. Qualcosa vorrà pur dire. E c’è già da scommetterci, tra venti o trent’anni, gli storici troveranno in questa pellicola un documento straordinario che dipinge, seppur tra caricature, il Paese vero ai tempi della Crisi. Alla stregua (abbondiamo!) di Un borgese piccolo piccolo di Mario Monicelli, con il grande Alberto Sordi.

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Fernando Massimo Adonia

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