FuturoPresente (diM.DeAngelis). Instabilità “made in Middle East” (o in Usa?)

oilfirestankfe1Una ricerca dell’Istituto per gli Studi di politica internazionale realizzato per RaiNews e pubblicato a gennaio rivela – o piuttosto conferma – la scarsa attenzione degli italiani per ciò che accade al di fuori del proprio Paese. Gli italiani sono attenti solo agli “effetti” di ciò che accade fuori dai loro sempre più pletorici confini nazionali. Un esempio per tutti sono le polemiche generate dall’emergenza profughi originata dalle più recenti destabilizzazioni del Nord Africa e del Medio Oriente e il clima di paura dovuto al bombardamento mediatico sulle gesta dell’autoproclamato Califfato di Iraq e Siria.

Il disinteresse generale per la politica estera

Nella ricerca si trovano alcuni dati interessanti, che fanno se non altro capire che anche gli italiani che seguono la politica estera (per lo più di cultura alta e – ahimè – di sinistra) non necessariamente ne traggono una comprensione reale degli eventi. Mentre un buon 30% si dichiarava ad esempio preoccupato del terrorismo islamico, solo il 7% lo collegava alla “guerra civile” in Siria e più del 52% indicava l’Iran come lo Stato più pericoloso per la sicurezza globale. Segno questo che la propaganda di guerra americana condiziona ancora pesantemente i media italiani.  Ma l’Italia è comunque una provincia estrema dell’impero e quindi gli effetti delle veline del Dipartimento di Stato hanno spesso un effetto ritardato e quindi – a raddoppiare il danno – in Italia ci si accoda alle campagne d’opinione Usa con anni di ritardo, quando spesso gli scenari sono cambiati o è mutato l’interesse di Washington. Così assistiamo oggi, soprattutto a destra, ad un colpo di coda neo-con che invoca la guerra globale contro l’Islam – posizione centrale della politica estera Usa pre-Obama – confusamente mischiato con simpatie non meglio motivate per la Russia di Putin. Totalmente assente, com’è scontato, una visione geopolitica incentrata sull’interesse italiano, che manca d’altronde anche a livello di Governo. La ricerca Ispi si conclude, infatti, con una sovrastante percentuale di intervistati che pensano che l’Italia manchi totalmente di una sua politica estera.

I nuovi scenari

Nel frattempo, purtroppo o per fortuna, il mondo si muove. E ciò di cui i nostri “rappresentanti” o addirittura “leader” stanno discutendo nel più recente talk-show televisivo è già al giro di boa. Ma noi non lo sappiamo. Non è facile fare il riassunto di un decennio in poche righe. Sarò inevitabilmente semplicistico. Diciamo che all’affacciarsi del nuovo millennio è sembrato che l’egemonia mondiale degli Usa – che era stata ratificata dalla dissoluzione del suo più potente competitor: l’Urss – fosse agli sgoccioli. Si parlava di un nuovo mondo “multi-polare” e dell’emergere di nuove potenze economiche come Brasile, Russia, India e Cina, di una crescita del protagonismo europeo e di nuovi equilibri fondati sul mercato dell’energia, nel quale gli Usa erano marginali.

Sorvoliamo sugli irrilevanti scossoni politici generati dallo strano movimento globale degli Indignados, teorizzato e finanziato da grandi mostri della finanza come Soros per fare pressioni sui governi nazionali in una fase di rinegoziazione dei rapporti internazionali. Sorvoliamo anche sulla fumosa evoluzione delle cosiddette Primavere arabe, il discorso sarebbe troppo lungo.

La strategia americana del divide et impera

Soffermiamoci sul protrarsi della strategia di creazione e gestione del caos portata avanti dagli Usa già alla fine del Novecento e continuata negli anni 2000.  Dopo aver abbattuto Saddam Hussein con un costo di vite a dir poco enorme e aver “regalato” la democrazia agli iracheni, gli americani si sono trovati dinanzi al fatto che, una volta che dai ai popoli la possibilità di scegliersi un governo, non è detto che scelgano proprio quello che gli vuoi imporre tu. Essendo il 60% degli iracheni sciita – e quindi simpatizzante per l’Iran – attraverso il voto gli sciiti si sono sostituiti ai musulmani sunniti dei clan vicini a Saddam nel controllo dell’Iraq. E, in prospettiva, delle sue risorse petrolifere. Gli Usa hanno quindi imposto un presidio militare sulla fascia territoriale occupata dai sunniti, tagliando di fatto in tre l’Iraq, con una fascia settentrionale sotto il controllo disorganizzato dei Kurdi e la maggior parte del territorio meridionale nelle mani del governo di Baghdad.

Fino al gennaio del 2014, data di partenza delle truppe Usa dall’Iraq, dal territorio da loro controllato sono partiti attacchi terroristici quotidiani contro le moschee e il luoghi santi sciiti che hanno provocato continue stragi. Intanto i sopravvissuti reparti militari legati al clan Tikriti di Saddam Hussein si sono riorganizzati per lanciare una “resistenza” armata contro il governo legittimo. Il giorno stesso della partenza dei marines, i vari gruppi di insorti, a cui si erano misteriosamente aggiunti migliaia di stranieri, arabi ma soprattutto ceceni, hanno preso il controllo dei villaggi e dei borghi lasciati sguarniti, attaccando banche, caserme e uffici pubblici. Dalla federazione – spesso forzata – di questi vari spezzoni, è nato l’Isis, prima orbitante nell’area di Al Qaida, poi dichiaratosi alternativo al progetto qaidista.

l breve interregno dei Fratelli musulmani in Egitto

Nel frattempo, non tutte le primavere arabe avevano prodotto l’esito desiderato in Occidente, sempre per il “difetto” congenito della democrazia, che tende a dare il governo a chi ottiene la maggioranza dei voti. Un caso eclatante è stato l’Egitto, dove tutti i tentativi Usa di mettere al posto di Mubarak un tecnocrate sono falliti per mancanza di consenso elettorale. Alla fine hanno vinto i Fratelli musulmani, o meglio, lo spezzone maggioritario di un movimento diffuso che alla fine si è presentato con tre liste diverse e ha fatto vincere il candidato meno auspicato e cioè Mohamed Morsi. A quel punto non è stato difficile montare un movimento di piazza antigovernativo sul modello già sperimentato delle fallite “rivoluzioni arancioni” in Ucraina e Libano e provocare un colpo di Stato militare che ha riportato l’Egitto dove lo volevano gli Usa.

La breve stagione di successo dei Fratelli musulmani, che aveva avuto esiti anche in Libia con la nascita del governo di Tobruch, ha avuto un’influenza destabilizzante anche sulla Siria, dove la Fratellanza – di confessione sunnita – ha immaginato di provocare un passaggio di poteri relativamente pacifico sul modello delle primavere arabe, portando i suoi sostenitori in piazza contro Assad. Il progetto è immediatamente fallito a causa dell’intervento di formazioni armate eterodirette che hanno trasformato la protesta in guerra civile, spiazzando la Fratellanza ed eliminando dal terreno i gruppi politici “moderati”.

Le potenze occidentali hanno ovviamente dato immediato sostegno ai “ribelli”, senza curarsi di quale fossero la loro natura e il loro progetto, pur di liberarsi di Assad, odiato da Israele e considerato alleato degli Hezbollah libanesi e quindi dell’Iran, indicato dagli anni ’80 come l’arci-nemico dell’Occidente.

All’inizio anche Putin era stato tentato dall’opportunità di un cambiamento di governo in Siria, chiedendo in cambio del proprio nulla-osta la garanzia di poter conservare l’unica base navale russa nel Mediterraneo a Tartus, a sud di Latakia. Ma i presuntuosi quanto irrilevanti componenti del sedicente governo siriano in esilio – le opposizioni filo-occidentali – gli risposero “prima pagare, poi vedere cammello” e questo convinse Putin che fosse meglio non lasciare la via vecchia per la nuova.

Accecati dall’odio per l’Iran, fomentato ovviamente anche da Israele per ragioni “regionali”, gli Usa hanno sostenuto e potenziato qualunque opposizione armata di matrice sunnita, generando la crescita artificiale e non contrastata di quello che oggi chiamiamo Isis, un altro Frankenstein sfuggito al controllo, come Al Qaida e i Talebani.

Nel frattempo la strategia di contenimento dei concorrenti di Washington si è rivolta anche al resto del Mondo, con il tentativo di destabilizzare l’Iran dall’interno sostenendo la cosiddetta Onda Verde, fomentando le piazze in Turchia contro Erdogan (reo di aver fatto accordi energetici con l’Italia di Berlusconi) sostenendo le piazze anti-russe in Ucraina con il fine di privare Putin dei porti di Odessa e Sebastopoli, sostenendo economicamente i Paesi ex-comunisti di nuovo ingresso nell’Ue, così da creare un cordone sanitario tra Europa e Russia per rendere irrealizzabile un progetto di continuità territoriale euroasiatico.

Un bombardamento umanitario contro l’Europa

Pietrangelo Buttafuoco ha parlato di recente di “bombardamento umanitario” contro l’Europa riferendosi all’inondazione di profughi che stanno paralizzando la capacità dell’Ue di gestire razionalmente le proprie politiche economiche e anche solo immaginare un qualunque protagonismo a livello internazionale. Ovviamente immagina che anche dietro questa catastrofe annunciata ci sia una regia, o per lo meno un calcolo volto a paralizzare l’Europa. La nuova politica dei cambi con il dollaro ha imposto un duro colpo di freno alla crescita bulimica della Cina e anche il Brasile verniciato di No-Global sta cadendo a faccia avanti.

Un distributore italiani in Libia negli anni sessanta

Con lo sviluppo di nuove tecniche di estrazione super-invasive di gas e petrolio e una revisione delle leggi che vietavano l’esportazione di idrocarburi dagli Usa, gli americani sono diventati improvvisamente primi esportatori nel mondo e hanno ripreso, di fatto, il primato politico nel pianeta. Sull’eliminazione di Muammar Gheddafi stendiamo un velo pietoso. Di fatto in quel caso l’Italia ha accettato di bombardarsi da sola subendo i diktat di Francia e Inghilterra e le imposizioni di Napolitano. Anche in quel caso la sua colpa primaria era quella di aver fatto un accordo con l’Italia di Berlusconi che consegnava di fatto all’Eni tutti i diritti estrattivi.

Forse vale la pena di ricordare che anche la firma della condanna a morte di Saddam Hussein fu legata alla proposta, portata avanti in sede Opec, di “convertire” il valore del petrolio in Euro anziché in dollari.

Oggi, quindi, gli Usa possono permettersi di immaginare una nuova rivoluzione copernicana nella loro politica. Il petrolio è una risorsa che non vale quasi più niente. Tutti i Paesi civili – a eccezione ovviamente dell’Italia prigioniera dell’ideologia tafazziana – investono sull’energia nucleare che ha un maggiore rendimento ed è pulita. L’Isis vende il petrolio al mercato nero – a tutti, anche ai suoi avversari – a meno di 30 dollari al barile, facendo al mercato del greggio quello che i cinesi hanno fatto a quasi tutti i settori manifatturieri europei da quando Prodi ne ha forzato l’ingresso nel Wto. Qualcuno lo chiama “dumping”: tanta merce di bassa qualità a pochissimo prezzo e il mercato collassa.

L’ultimo colpo di ridimensionamento dei potenziali concorrenti è arrivato – con diffuso gradimento – sulla Germania della Merkel. Lo scandalo Volkswagen puzza di bomba ad orologeria come il processo Ruby. La truffa evidentemente c’è ed è plausibile che alla fine vi resterà invischiata la stessa Merkel. Gli effetti dello scandalo provocherà una serie di graditi eventi (almeno graditi per gli Usa): il ridimensionamento dello strapotere tedesco nel settore automobilistico, con una quota del 13% del mercato mondiale; un danno notevole a Pil e occupazione del Paese che è considerato (e considera se stesso) la locomotiva d’Europa; una catastrofe per l’immagine della kaiserina, che da troppo tempo è in sella e comincia a sembrare eterna. Ma non solo, è il sistema diesel che verrà messo in discussione, rivalutando la benzina con effetti benefici per i produttori di greggio che stanno per subire un altro colpo con la liberalizzazione del petrolio iraniano dall’embargo. E gli Usa nel 2015 si sono passati da tredicesimo a primo produttore di petrolio nel mondo.

Il caso Iran

L’unico avversario che gli Usa non sono riusciti ad abbattere e che è sopravvissuto anche a decenni di sanzioni economiche imposte dagli americani e dai suoi alleati (o sudditi), è l’Iran. Durante gli anni del più recente embargo, l’Iran ha stretto legami solidissimi e convenienti con tutte le potenze che non sono sotto l’egida degli Usa: dal Venezuela all’India, dalla Russia alla Cina, alle repubbliche dell’Asia centrale. Vende a tutti e compra da tutti. Nel caso della Russia addirittura baratta: latticini e carni bianche in cambio di grano e cereali. Inoltre è stato costretto a rendersi autosufficiente in molti settori industriali – anche quello degli armamenti – e ora che potrà concentrarsi sullo sviluppo del nucleare civile risolverà anche i problemi energetici che ha in comune con il resto del mondo sviluppato.

L’Iran coordina di fatto tutte le truppe che resistono all’Isis: i kurdi (con buona pace degli americani che vorrebbero sfruttarli per creare un loro stato cuscinetto tra Iraq, Siria e Turchia), le truppe regolari e irregolari irachene e le milizie sciite libanesi, che respingono i tentativi del Califfato e di Al Qaida di arrivare al Mediterraneo e entrano in Siria quando ce n’è bisogno. Ovviamente anche in Siria – fino all’arrivo recente degli aiuti russi – tutto poggiava sulle spalle delle milizie sciite e cristiane armate dall’Iran e su ciò che resta dell’esercito regolare, rifornito da Teheran. L’Iran, insomma, è la prima linea armata del Mondo occidentale formalmente attaccato dall’Isis. Mentre i Paesi filo-occidentali sostengono invece l’Isis… E in Italia si animano coraggiose campagne a sostegno dei “cristiani perseguitati” a colpi di eroici clic e mi-piace…

La forza dell’Iran ha di fatto convinto – e in qualche modo permesso – alla Russia di rompere gli indugi (con un astuto accordo di “mutua attenzione” con Israele) e manifestarsi apertamente a sostegno di Assad. Dopo la firma dell’accordo di Vienna e tre sconfitte consecutive in Senato della minoranza rep che voleva affossare l’accordo, oggi è possibile anche ufficializzare l’accordo militare tra Usa e il suo arci-nemico per porre fine al dilagare della più recente creatura mostruosa partorita dagli apprendisti stregoni di Washington. Gli sciiti colpiranno da terra e gli Usa (in teoria) dall’aria. Sperando abbiano piloti migliori di quelli che usano in Afghanistan, che continuano a massacrare – per errore – la popolazione civile.

In tutto ciò Israele, ovviamente, è in fibrillazione contro l’amministrazione americana, dalla quale si sente tradita e abbandonata e minaccia ritorsioni elettorali alle prossime presidenziali del 2016 tramite le sue capacità di moral-suasion.

Il ruolo della Francia

La Francia si è intanto risvegliata. Porterà verosimilmente nuova confusione in Siria, al fine di guadagnare il diritto ad una seggiola alla conferenza di pace che determinerà il futuro della regione e sta cercando di ri-entrare a gamba tesa nella politica del Libano, che si avvicina alla nomina di un nuovo Presidente. La coalizione favorita sembrerebbe l’alleanza sciita-cristiana che sostiene l’ex-generale Michel Aoun; ovviamente Hollande spinge in senso opposto.

I progetti di Obama

Obama prevede che per sconfiggere l’Isis ci vorranno almeno cinque anni e che la crisi umanitaria che investe l’Europa ne durerà almeno altri 20. D’altronde, i profughi siriani sono appena il 6% della più recente ondata. Anche se finisse la guerra in Siria, senza nuove regole europee e un intervento alle fonti dei flussi, l’emergenza continuerebbe.

Nel frattempo lui non ci sarà più, probabilmente sostituito dalla Clinton che lavora da mesi a fargli le scarpe. I repubblicani sono in seria difficoltà.

E poi c’è l’eccentrico miliardario Donald Trump, che alcuni danno per favorito. Il personaggio è imprevedibile e sicuramente ingestibile. Quindi, qualora non riescano a fermarlo prima con qualche cospirazione giudiziaria com’è tradizione Usa, finirà probabilmente come i Kennedy.

@barbadilloit

Marcello De Angelis

Marcello De Angelis su Barbadillo.it

Exit mobile version