Cinema. “I bambini sanno” di Veltroni e la fabbrica dei perfetti consumatori occidentali

“Trentanove bambini tra gli 8 e i 13 anni, italiani di oggi, rispondono dalle loro camerette alle domande di Walter Veltroni su amore, famiglia, Dio, omosessualità, crisi”: è la presentazione de “I bambini sanno”, l’ultima fatica cinematografica di Veltroni, il responsabile della svolta pop del PD. Quella che ci ha poi regalato Renzi. Vogliamo essere subito chiari: Walter, hai sbagliato tutto.

Per cominciare: i bambini non sanno quasi nulla, è perciò che possono alle volte essere felici. I bambini fortunati che intervisti non conoscono ancora lo schifo che c’è in giro. Per fortuna. La saggezza venerata nei bambini è solo una scusa per educarli e irregimentarli al fine di “preservarne la saggezza”. Al paradigma sovietico del crescere i giovani per farne operai e compagni, la sinistra pop ha sostituito il paradigma atlantico e socialdemocratico del crescerli per farne consumatori sradicati, figli della pubblicità e della TV: a questo paradigma è funzionale una società di creature irresponsabili, inconsapevoli, istintive e non razionali. La “saggezza” dei bambini è solo pragmatismo e ignoranza, reazioni istintive a un mondo che ancora non si conosce. I bambini sono terribilmente superficiali. Quindi consumatori perfetti, ma anche elettori perfetti: la politica, in fondo, non sta sempre più assumendo i connotati del mercato, lasciandosene guidare?

Walter sembra difatti suggerire che la politica dovrebbe farsi guidare dalla bontà dei bambini, domandandosi “cosa farebbe al posto mio un bambino?”. In questo paradigma politico, come pure economico, il bambino è contemporaneamente maestro e allievo, esempio e destinatario dell’esempio.
È molto più semplice plagiare un bambino e poi usarlo per far fare agli adulti quel che si vuole facciano, piuttosto che convincerne direttamente gli adulti. Il bambino che detta la linea politica è l’equivalente del figlio che suggerisce gli acquisti ai genitori confusi e sperduti nel reparto elettronica o videogiochi dei grandi magazzini. È il bambino a dettare la via, purché il bambino faccia quel che ci si aspetta che faccia: il figlio è stato istruito dalla televisione e di rimando istruisce i suoi genitori. In questo caso, la bontà dei bambini è in realtà fedeltà al modello politico-economico, allo status quo. È incapacità di critica e di rivolta.

Veltroni infatti non parla di tutti i bambini, ma sceglie con attenzione quelli che vuole rappresentare, coerenti alla narrazione e alla funzione che la sinistra pop ha in mente. Non ha scelto bambini dello Zen, di Scampia, di Tor Sapienza, della Barona; non ha scelto bambini che hanno dovuto farsi adulti presto o che litigano con i rom per un alloggio o che odiano le istituzioni o che delinquono già a dieci anni: tutti questi torneranno utili in altre situazioni, strumentalmente. Prima e dopo non esistono. Non sceglie bambini buoni, sceglie bambini accondiscendenti.

La sinistra pop usa poi il bambino accondiscendente per accusare ogni adulto non conforme all’esempio del bambino di essere ignorante e prosaico. È maligno chi solleva e manifesta criticità, magari pure becere e meschine, che turbino la pax commerciale. L’adulto deve lavorare il più possibile e lasciare il figlio, da solo, alla TV o al computer. All’adulto critico non si riconosce alcuna saggezza, ma al massimo opportunismo. Semplicemente, non segue il canone e quindi “non sa”, quindi non è buono. Non è funzionale.
È un crudele ex-bambino, ora rovinato perché ha capito come gira il mondo.

Non si può dire che anche i bambini possono essere meschini: devono essere tutti buoni, indistintamente e ideologicamente, tutti convertibili in adulti buoni, purché la pensino come noi. Si sceglie la retorica, quella della purezza e della semplicità, quella che nasconde la rassegnazione.
Ma noi non nasciamo puri e inermi in un mondo perfetto: nasciamo nudi in un mondo selvaggio e portiamo già addosso tutte le nostre armi. Per difenderci e per contrattaccare. Questo i bambini non lo sanno e qualcuno vorrebbe che continuassero a non saperlo.

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Andrea Tremaglia

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