Ciò premesso, le parole con cui Giorgia Meloni ha commentato la proposta leghista di candidare Buttafuoco alla presidenza della Regione Sicilia mi lasciano perplesso. Capisco l’esigenza di tutelare l’identità, anche religiosa, di una nazione o di una regione, comprendo la delusione che il vecchio Dragonera con la sua scelta di convertire il suo nome in Giafar al-Siqilli ha suscitato in lei, e un po’ anche in me. Ma nelle coordinate politico-culturali della destra non c’è la discriminazione religiosa, ai livelli più modesti come a quelli più alti.
Ci sono grandi convertiti come René Guénon, c’è “l’esploratore del Duce” Giuseppe Tucci, c’è l’Ismeo fondato da Giovanni Gentile e dallo stesso Tucci, ci sono Pio Filippani Ronconi e Massimo Scaligero, ma ci sono anche i minareti che, insieme alle case del Fascio, alle fontane con l’acqua potabile e alle cappelle cattoliche, Italo Balbo fece realizzare nei più sperduti villaggi libici.
L’immigrazione e le migrazioni, ormai non più clandestine, costituiscono un problema molto grave, ma non possono costituire un buon motivo per dividere in buoni e cattivi gli italiani. La conversione, spero solo letteraria, di Buttafuoco all’Islam non è un serio motivo per discriminarlo. L’identità è qualcosa di più serio della ricerca di visibilità da parte di un partito stretto fra la concorrenza leghista e l’Opa lanciata dai “quarantenni” sul tesoretto di Alleanza Nazionale.