Appuzzuni. Francesco Villani, anarchico operaio del jazz: “La crisi? Una sfida per gli ostinati (come me)”

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Foto di Giacomo Ambrosino ( GMPhotoagency)
FB: GMPhotoagency

Già il titolo del suo ultimo lavoro, «aperto a più interpretazioni» – ama dire – dice molto di lui. Lui è il jazzista Francesco Villani e il suo ultimo album è Il premio di consolazione. Non un inno alla rinuncia e alla capitolazione, niente affatto, ma un richiamo a non mollare, «anche se alle ultime generazioni è toccato raccogliere le briciole e le macerie di un disastro lasciato da chi è venuto prima», perché questo momento difficile stimola nuovi modi per andare avanti, attraverso anche «lo sharing, tu mi fai un video gratis e io una colonna sonora. La crisi ci rende più scaltri, più ostinati e intelligenti e alla fine scopriremo che saranno andati avanti quelli che hanno le potenzialità, mentre chi non sa fare un c… rimarrà indietro». Combattivo, acuto, vulcanico come il suo Vesuvio. Ricorre spesso a espressioni dialettali efficaci, colorite, mentre parla, ma per una non napoletana è difficile trascriverle. Senza dubbio, tien ’a cazzimma, Villani.

Un personaggio ben diverso da certi musicisti, impacciati al punto giusto per catturare la tua simpatia, che sembrano costruiti a tavolino e incensati a beneficio di un pubblico telecomandato e poco smaliziato, un Allevi a caso, che è «un bluff comunicativo che se fosse bravo a suonare come a comunicare… Che fa melodie che chiunque può riuscire a suonare». Però Francesco non ne vuole parlare, «più ne parliamo e più facciamo il suo gioco, gli diamo pubblicità». E ha ragione, se stiamo a vedere l’ultima uscita del pianista marchigiano in cui si definisce l’anticasta, un’uscita ad hoc proprio per non cadere nell’oblio – il classico “far parlare di sé, bene o male, purché se ne parli” – proprio lui che nella casta non sembra poi stare così male, a ben scorrere il suo curriculum di esperienze professionali e di esibizioni.

Una differenza abissale con questo musicista talentuoso di Napoli, indomabile e sorprendentemente schivo – «gli applausi mi imbarazzano», dice – comunicativo, disponibile, gentiluomo, originale e mai veramente incasellabile, da conoscere sempre di più. Che si definisce anarchico e non ama i compromessi, insofferente alle storture, ma che parla con tutti, a destra e a sinistra, rispettandoli, che non ama l’invadenza di questo Stato, e l’arroganza di chi ha il potere, ma che tiene al rispetto delle regole – «perché lo Stato siamo noi cittadini e se io per primo non rispetto i suoi patti non rispetto me stesso come cittadino e il cittadino che sbaglia è ricattabile. Sono stanco della dilagante mancanza di legalità. Non me ne frega niente della libertà se non viene garantita la legalità», sbotta.

Non abbassa la testa mai, soprattutto con chi cerca di lucrare sulla sua musica, che è la sua vita, la sua passione – accanto a quella per la cucina –  ma anche il suo lavoro: «Io sono un operaio della cultura. Se un idraulico fa una riparazione a casa mia, io lo pago. Perché un musicista non dovrebbe essere pagato per il proprio lavoro? Invece, siamo in balia di quella retorica secondo cui l’arte è espressione dello spirito che non può essere insozzata monetizzandola, un retaggio della cultura fascista. Anche in questo caso siamo sempre bravi a prendere il peggio delle esperienze passate e mai le cose positive».

Villani dispera per una cultura sottovalutata, anche nella sua città, a pochi giorni dalla distruzione della Città della scienza. «Il sindaco è stato votato dai napoletani con la speranza che producesse un cambiamento concreto, tangibile, e invece non sta facendo niente per la cultura, preso com’è soltanto da operazioni di facciata».

Mentre scrivo, riascolto la sua musica, le note del suo pianoforte che catturano e trascinano nel suo mondo. Un mondo «complicato che, se non compreso, rischia di essere freddo e sterile» ma che lui stesso ti spiega, se vai ai suoi concerti – tantissimi, «in ventotto giorni ho fatto quindici date» – nei club, nei teatri, prendendoti per mano per farti capire quello che fa e alla fine non puoi non innamorartene per come te lo racconta. E il pubblico che lo segue torna a casa contento e con il suo cd, perché non vuole che al termine della serata quell’incanto si interrompa.

Vincitore nel 2007 del Premio Musica News, lo stesso conferito, tra gli altri, a Stefano Bollani e Paolo Fresu, più noti al grande pubblico, Francesco Villani è figlio di Virgilio Villani, uno dei più grandi attori di teatro napoletano e allievo del regista teatrale e compositore Roberto De Simone – una persona di famiglia – è stato allevato in un ambiente culturale di alto livello. Il fratello Pierluigi, musicista anche lui, lo accompagna con la batteria nel trio – insieme con il danese Jesper Bodilsen, al contrabbasso – che suona nel suo ultimo lavoro, etichetta Universal, la stessa di Bollani, Diana Krall, Rod Stewart.

Ha collezionato collaborazioni con Enzo Gragnaniello, 99 posse, Marco Zurzolo, Antonio Onorato, Alex Britti, Glauco Mauri, Michele Placido, Gigi Finizio, Pietro Tonolo, Rossana Casale, Lincoln Goines, Andrei Gouche, Alfredo Golino, Tollak, Oitel Burbrige, Dominique Di Piazza, Garrison Fewell, Speaker CenZou, Eliot Zigmund, Alfredo Paixao, Inti Illimani, Carl Anderson, Bobby Durham.

Ha composto le musiche dell’audiolibro di Gomorra, scelto al posto di Allevi da quel Roberto Saviano, apprezzabile per la sua denuncia ma forse fin troppo famoso come una star, «un giovane che si è ritrovato in un’operazione di marketing più grande di lui».

Eppure, o forse proprio per il suo temperamento anarchico e irriverente, Villani ancora non riceve dalla stampa le attenzioni degne del suo talento e della sua formazione. È molto seguito e amato, ma il grande pubblico ancora non lo conosce. Una lacuna che può essere colmata, ascoltandolo. Eccone un assaggio nella rivisitazione della canzone di Bruno Lauzi “Ritornerai” che toglie il fiato e accarezza:

http://www.youtube.com/watch?v=OzAYa6tCKLk&feature=youtu.be

Rosalinda Cappello

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