Pietro Mennea volontà nicciana più disciplina per diventare invincibile ‘freccia d’Italia’

mennea1Tutta l’esistenza di Pietro Mennea può essere riassunta nella parola volontà, tanto cara a Nietzsche ed agli amanti delle imprese impossibili. Lo sforzo agonistico richiede una componente di volontà a chiunque si voglia cimentare in una disciplina. Ma la volontà di Mennea era di ordine diverso, più totale e profonda. “Noi siamo stati degli asceti”, ricorda il suo avo agonistico, Livio Berruti, vincitore della finale dei duecento metri alle Olimpiadi di Roma del 1960. Non esagera , perché la dedizione assoluta che Pietro Mennea ebbe ad infondere nella sua vita sportiva fu più simile ad un ritiro spirituale che ad una preparazione atletica. Come spesso accade a chi esercita una elevata tensione interiore, il sacrificio di Mennea partorì un prodigio: un esile e sgraziato filo d’uomo imparò a volare, perché gli altri atleti correvano, ma Mennea, solo lui, volava. E non avrebbe potuto fare diversamente, perché correndo, soltanto correndo, avrebbe perso contro delle macchine di muscoli, afroamericane o russo sovietiche, assistite da apparati e mezzi iper tecnologici, mentre lui poteva disporre solo dei preziosi consigli del saggio allenatore Carlo Vittori. Lui così esile ed incurvato, sfidò i suoi avversari a confrontarsi su di un altro piano, quello della volontà incrollabile. E vinse. Ovunque vi fosse da vincere, lui vinse. Oro ed altre medaglie alle olimpiadi, titoli italiani, europei e mondiali, nei 100, nei 200 e nella staffetta. Quattro olimpiadi ed una infinità di altre competizioni, pagate con la scomparsa di una vita privata, incompatibile coi ritmi della preparazione necessaria a colmare le differenze strutturali tra lui e gli altri campioni dell’epoca. Per il consueto provincialismo italiano, fu definito Freccia del Sud; se fosse nato a Belluno dubitiamo che lo avrebbero soprannominato “Freccia del Nord”. In realtà fu Freccia d’Italia, o meglio ancora fu la Freccia in assoluto, ovvero un corpo sottile e leggero spinto con una forza devastante da qualcosa che è fuori da esso. Mennea vinceva perché voleva vincere, oltre la fisica e la tecnica. E vinse dominando, silenzioso come tutti i grandi. In una nazione degna Pietro Mennea dovrebbe essere ricordato nelle scuole, facendo riecheggiare le sue gesta impossibili, oltre lo sport, nella dimensione irreale eppur esistente della volontà assoluta, che domina tutto, perché il sovraumano è l’umanità degli spiriti eletti. Pietro Mennea fu atleta sublime, ma anche grande studioso e uomo retto e dalle idee chiare. Dichiarò “Potrei vivere da suddito coscienzioso, onesto e responsabile guidato da un Re buono e giusto. Ma anche lottare da cittadino onesto contro una democrazia corrotta”, a dimostrazione di una coscienza vibrante anche al di fuori dello sport. Onore all’anima di Pietro Mennea. Non si smetta mai di ricordarlo, quale eroe di un’Italia che porta l’invincibilità nel sangue dei suoi figli migliori. Pietro Mennea, l’invincibile che fu troppo veloce anche nel morire.

Marco Francesco De Marco

Marco Francesco De Marco su Barbadillo.it

Exit mobile version