Musica. Spotify o Deezer non cancellano il ruolo dei ‘Maestri’ per scoprire l’umanità nelle note

Spotify-confronto-DeezerC’era una volta il vinile, gli lp con straordinarie copertine (ricordate The best 1980-1990 degli U2 con il bambino che indossa l’elmetto militare?). Ora c’è Spotify o Deezer. O Grooveshark. Software onnipotenti. La musica perde la dimensione materiale, il contatto che si ha con un oggetto che è cimelio e raccoglitore di note per entrare nella dimensione delle note in streaming. Non c’è più una selezione, ma di colpo si è lanciati in un grande magazzino pieno di titoli di canzoni. Troppi. Tutti. Oltre venti milioni di brani originali, grazie agli accordi con le case discografiche.

Nessuna nostalgia dunque del mangiacassette o del giradischi. Ma un segnale della direzione del vento. Tutto è vicino, una intera discoteca e a portata di clic. Eppure sembra aver perso la dimensione umana. La passione per la musica, per il proprio cantante preferito al quale si è riservata una adolescenza da groupie è cambiata. Digitalizzata. Non si paga la musica per possederla. E’ inutile. Si paga per esserci, per avere accesso a queste immense banche dati delle note musicali.

Impossibile fermare questa evoluzione, ma restiamo dell’avviso che “occorrano i Maestri che raccontano l’umanità nascosta dietro la musica”, come scrive Alessio Bertallot. Non solo i dj della discoteca sotto casa, ma anche la ragazzina innamorata che fa ascoltare al suo partner con la cuffia la propria canzone del cuore, o i compagni di scuola (pazzi per i Dire Straits) inebriati dalle emozioni dell’ultimo concerto, vissuto in prima fila… La Cultura e la Musica non si possono declinare solo con un download o un clic.

@waldganger2000

Michele De Feudis

Michele De Feudis su Barbadillo.it

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