Cinema. “Il lato positivo” di David O. Russell ovvero una piacevole strategia di sopravvivenza

lato positivoIl lato positivo di David O. Russell, otto nomination agli Oscar (film, regia, attori protagonisti e non, sceneggiatura, montaggio), di cui una andata a buon fine (miglior attrice protagonista della ventiduenne Jennifer Lawrence nella parte di Tiffany), è solo apparentemente una tragicommedia romantica hollywoodiana particolarmente riuscita. O meglio, lo è, ma a nostro avviso, non è solo questo.

Pat Solitano (Bradley Cooper), trentenne insegnante di Storia, esce da un istituto psichiatrico dopo otto mesi di trattamento con un solo obiettivo: diventare l’uomo che sua moglie Nikki avrebbe desiderato che fosse e rimettere insieme i pezzi del suo matrimonio. Il patteggiamento della pena a lui inflitta lo costringe, però, nel frattempo, in casa con la madre (Jacki Weaver) e il padre (un Robert De Niro come non si vedeva da anni), fanatico di football, che ha perso il lavoro e si è dato alle scommesse, e gli impone degli incontri settimanali con uno psicoterapeuta, il dottor Patel (Anupam Kher). Pat ce la mette tutta per rientrare nella normalità, per mettere in pratica il suo proposito di positività ad oltranza, ma la sua già precaria autodisciplina viene messa a dura prova dall’incontro con l’eccentrica Tiffany (Jennifer Lawrence, appunto), giovane vedova anche lei con una recente storia di dolore e depressione. In cambio della sua intercessione presso Nikki, Tiffany vuole che Pat le faccia da partner per un concorso di ballo. Dall’incontro dei due “pazzi” nascono situazioni più o meno bislacche e surreali davvero godibili, ben orchestrate e ben interpretate.

Certo il film è talmente calato nei canoni del polpettone happy-end a stelle e strisce (bamboccione immaturo con l’occhio ceruleo e incrollabile ottimismo, pupa belloccia e squinternata con la passione per il ballo, continui riferimenti al football, contorno di casette bianche con vialetti, giardino e cane, c’è addirittura una scena ambientata la notte di Halloween) che il rischio di archiviarla semplicisticamente come una simpatica e strampalata “americanata” è davvero altissimo. Ma Il lato positivo ha una luce tutta particolare che può cogliere istintivamente anche lo spettatore più superficiale e ha le sue complessità. Vediamole in dettaglio.

Innanzi tutto il punto di vista molto ravvicinato. Il regista racconta i suoi personaggi senza giudicarli, tanto che viene da domandarsi: “Dove sta il confine tra normalità e pazzia?”. Sì, perché i “pazzi” protagonisti di questa storia ci sembrano delle persone tanto “normali” alle prese con il dolore e l’assurdità della vita.

C’è Pat , il pazzo numero uno, che ha sempre preferito non vedere i problemi e che anche ora cancella ogni scomodo dettaglio travolgendolo con l’onda di uno straripante ottimismo. La sua storia di follia è un classico. Un giorno rientra prima da lavoro (rompendo gli schemi della routine dietro cui è trincerato) e sorprende la moglie amoreggiare nella doccia con un collega, da di matto e picchia a sangue il malcapitato. Ora, già così si sarebbe tentati di compatirlo, se non proprio di giustificarlo, ma a rendere la situazione ancora più raccapricciante ci sono due particolari: il sottofondo musicale dell’adulterio in atto è la canzone suonata al matrimonio di Pat e della moglie (che da lì in poi prenderà a perseguitarlo ogni volta che perde le staffe) e l’amante colto in flagrante, non solo non si vergogna, né si schernisce, ma dice a Pat “E’ meglio che tu te ne vada”.

C’è Tiffany (Jennifer Lawrence), la pazza numero due, anche la sua storia è ad alto potenziale di immedesimazione. La morte del marito in un incidente automobilistico avvenuta in un momento di allontanamento della coppia, provoca sensi di colpa e rimpianti al vetriolo, che Tiffany cerca di seppellire sotto una montagna di psicofarmaci e di sesso consumato con chiunque le si pari davanti.

Ci sono tutti gli altri, che dovrebbero essere i normali, madre, padre, fratello di Pat, amici, vicini e compagnia briscola, ognuno con le proprie piccole e grandi manie alle quali si aggrappano, con le proprie strategie di sopravvivenza.

Lo sguardo sulla follia che ci apre Il lato positivo non è dunque fatto cadere sui confini tra “malati” e “sani”, tra “pazzi” e “normali”, tra “noi” e “loro”. Il confine è volutamente cancellato, tanto che i pazzi ci sembrano in fondo più normali dei normali. (Questo non è piaciuto molto agli americani).

In secondo luogo il film ci mostra il potere dirompente, ma anche innovativo e catartico della disperazione sull’interazione tra le persone. Chi ha perso tutto, chi ha rotto l’argine non si preoccupa più di essere fuori luogo, inopportuno, e di mettere in atto tutta quella serie di pantomime preconfezionate che sono il grosso dei comportamenti ritenuti sociali.  Il “pazzo” cancella con un colpo di spugna il pudore, la reticenza, la paura, l’esigenza di nascondere le piccole e grandi debolezze umane, anzi, te le spiattella in faccia (la scena del primo incontro tra Pat e Tiffany è emblematica, oltre che spassosissima). Ma anche nel privato l’uomo “normale” non parla volentieri in modo diretto di sentimenti e fragilità, tanto che la famiglia di Pat (in modo particolare il padre) si nasconde dietro al potere coalizzante della passione per il football, l’unico terreno sul quale riesce a trovare un modo di comunicare veramente.

In terzo luogo c’è il discorso sulla perfezione e sulla capacità di accettarsi. Pat non si accetta, Pat insegue un ideale di perfezione canonizzato dalla fantomatica moglie Nikki (che in quanto a comportamento e sensibilità pare più un cyborg che un essere umano), che lo vuole più in forma (e lui fa jogging tutti i giorni), più impegnato (e lui si legge tutti i libri che lei propone ai suoi studenti), più positivo (e lui adotta il motto “Excelsior”, ovvero “più in alto”). Poi Pat incontra Tiffany che è incasinatissima, peggio di lui a tal punto che all’inizio ha persino l’ardire di sentirsi superiore a lei, e in qualche modo riesce a capire che non è tanto importante essere perfetti, quanto invece essere se stessi, accettare i propri limiti e affrontare la verità.

Da ultimo rimane la questione della positività e che, se in un primo momento ci era sembrata il solito messaggio un po’ puerile da giovane marmotta, a ben vedere forse possiede anch’essa un significato più sottile. Il titolo originale del film è Silver Linings Playbook che letteralmente in italiano si potrebbe tradurre con “L’orlo argenteo del libretto degli schemi”, dove con l’orlo argenteo si fa riferimento ai versi di una poesia di John Milton (Comus) che significa che dietro ogni nuvola oscura si nasconde uno spiraglio di luce (il lato positivo) e il libretto degli schemi non è altro che il manuale di strategie che mette a punto ogni squadra di football. Dunque forzando un po’ si potrebbe tradurre con “Il manuale delle strategie positive”, il che alla fine fa capire a noi, ma soprattutto a Pat, che la positività non è altro che la sua personalissima strategia di sopravvivenza.

Chiara Donnini

Chiara Donnini su Barbadillo.it

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