Politica. In ricordo di Giuseppe Tatarella, uomo delle estreme sintesi

Tatarella

Sedici anni fa moriva Giuseppe Tatarella, deputato del Msi, fondatore di An, vicepresidente del consiglio e animatore di giornali, da Puglia Tradizione al Roma. Lo ricordiamo con un articolo di Gennario Sangiuliano

Era l’estate del 1996, credo ai primi di giugno. Prime ore del mattino, credo le otto. Stavo correggendo le bozze di un mio libro dedicato alle vicende della guerra nella ex Jugoslavia, conclusasi da poco con gli accordi di Dayton. Si sarebbe intitolato “Non dimenticare Sarajevo” (Edizioni Scientifiche 1996). Squilla il telefono, dall’altro capo era Pinuccio Tatarella. Nessun convenevole, nessun preambolo, poche battute secche: «Vieni fra un’ora all’Hotel Royal, riporto il Roma nelle edicole, tu sei arruolato. Fai presto. Hai preso il caffè?». Dopo qualche mese mi sarei ritrovato prima vice-direttore responsabile del Roma, poi direttore responsabile, fino alla primavera del 2001, cinque anni della mia vita.

Pinuccio era l’uomo delle estreme sintesi. Quella telefonata mi era stata fatta come se ci fossimo sentiti il giorno prima, invece non ci parlavamo, solo perché impegnati nei reciproci affanni, da qualche mese. Ci si sentiva per gli auguri a Natale e Pasqua. Lui dava per scontati tutta una serie di passaggi, io sapevo stare in sintonia. Però, era capace di stare a discutere un’ora di Prezzolini o di Longanesi.

Quando giunsi nell’albergo del lungomare dove Tatarella mi aveva dato appuntamento lo trovai immerso in una serie di fogli, erano riproduzioni della storica testata con la scritta “Roma”. Aveva immancabilmente gli occhiali sulla fronte.

La terza pagina sul Roma

«La pagina culturale torna ad essere la terza pagina, anche nella foliazione, siamo conservatori e ce ne freghiamo di quello che fanno gli altri», mi disse Pinuccio, «comincia a preparare una serie di profili di grandi intellettuali del pensiero di destra». «Prezzolini, Papini, D’Annunzio, Croce, Gentile, Soffici, Einaudi», Tatarella sciorinava nomi. «Quegli americani che ti piacciono tanto, come si chiamano?». «Irving Kristol e Milton Friedman», risposi. «Sì, bravo. metti pure quelli».

La creatività di Pinuccio

Il cervello di Tatarella, come sempre nelle sue attività, viaggiava a mille, lui era già al passaggio successivo mentre gli altri erano fermi a riflettere sui due antecedenti. Fare un giornale non era un’impresa da poco. In quel momento era stata acquistata solo la testata dal vecchio fallimento, c’erano una serie di problemi di non facile soluzione, dalla tipografia alla redazione, al formato, al progetto grafico. Eppure, Pinuccio era già ai contenuti, quasi faceva i menabò delle pagine. «Guarda che Leo Longanesi ha collaborato con il Roma! E anche Pirandello», mi ricordai. «Fai trovare i loro articoli, li ripubblichiamo tutti», rispose Pinuccio. Naturalmente non avevamo parlato di contratto, di cosa avrei fatto ed ero il dipendente di un’altra azienda editoriale.

La rinascita del “Roma”, però, merita di essere spiegata alla luce di quel momento storico, dieci anni fa. Il 21 aprile si erano svolte le elezioni politiche con la strana vittoria dell’Ulivo (cosi allora si chiamava tutto il centrosinistra). Prodi era diventato per la prima volta Presidente del Consiglio. Il centrodestra le elezioni le aveva volute perdere: aveva ottenuto più voti nella quota proporzionale e la Lega era andata per conto suo. I grandi giornali davano per scontato una lunga durata dell’esecutivo del Professore, i soliti “autorevoli” commentatori scrivevano che il centrodestra era finito e che il Polo della Libertà (così si chiamava) si sarebbe sfaldato.

Pinuccio Tatarella, come nel suo stile, era già al lavoro per il dopo, mentre gli altri alleati di partito e di coalizione polemizzavano su quello che poteva essere e non era stato. «Faccio un giornale perché fare un giornale è da sempre l’inizio di chi vuole aprire una nuova stagione politica». Aveva ragione e la storia stava lì a insegnarcelo. Croce e Gentile fecero la Critica per attaccare il positivismo in nome dell’idealismo. Gobetti fece “La Rivoluzione Liberale”. Gramsci e Togliatti la rivista “Ordine Nuovo” prima del Partito Comunista. Il disegno politico che Pinuccio aveva in mente era chiaro, in Italia i moderati, quelli che avvertono l’immaturità illiberale della sinistra, sono la maggioranza, oltre il sessantacinque per cento. Vanno motivati, gli va data una coscienza politica e prima ancora culturale.

Insieme al Roma sarebbe venuta la formula di “Oltre il Polo”, che avrebbe portato nel centrodestra i repubblicani di La Malfa, poi altre forze. Quindi, la commissione Bicamerale per le Riforme, di cui Tatarella fu il vice presidente, con D’Alema presidente. La vittoria del presidenzialismo in quella sede e la lenta ricucitura dello strappo con la Lega, cui Pinuccio lavoro in silenzio, pian piano.

Torniamo a quella mattina. Pinuccio disse a Italo che andava fatto un manifesto pubblicitario, per la campagna di lancio del giornale, che richiamasse la sua stagione d’oro col comandante Achille Lauro. «Ho una bella foto di Lauro in un vecchio libro comprato su una bancarella», dissi tanto per dire. «Andiamola a prendere subito, poi si va a pranzo». Anche questo era Pinuccio Tatarella, tutto e subito. Abitavo sulla collina di Posillipo ed ero sceso con la mia Vespa. Ero convinta che l’avrei lasciata fuori l’albergo. Quando Tatarella la vide e ci montò. «Andiamo», disse. Si formò uno strano corteo, io alla guida della Vespa con Pinuccio, dietro la sua auto blu di capogruppo alla Camera, dietro ancora la scorta della Polizia. Gli agenti che prima erano rimasti sorpresi, si divertivano a vedere l’ex vice presidente del Consiglio sul mezzo a due ruote. «Penseranno che siamo due scippatori inseguiti dalla Polizia», dissi. «Scippiamo idee per il nostro giornale», rispose.

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Gennaro Sangiuliano

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