Il caso. A Torino italiani sfrattati occupano le case dei rom (e non un titolo di “Cuore”)

rom torinoIl titolo è questo: «Italiani sfrattati si prendono le case dei rom». E uno pensa: «Grande! È tornato in edicola Cuore. Oppure è il Vernacoliere che ha deciso di fare un’edizione italiana, non più in dialetto livornese». Invece è La Stampa, ed è tutto vero. Non è satira, ma cronaca. Accade a Torino, periferia nord della città, non distante dalla Juventus Stadium.

Questi i fatti: sfrattate dalle case popolari del vicino quartiere Vallette per morosità, alcune famiglie, anche con bambini disabili, nei giorni scorsi hanno occupato la struttura comunale di via Traves 7 destinata con una recentissima delibera dell’amministrazione ad ospitare rom provenienti dai campi nomadi. «Non avevamo altra scelta, non potevamo restare in mezzo alla strada» dichiara al giornale una donna, barricata all’interno dell’edificio occupato.

Sui giornali cittadini la notizia occupa poco spazio, nessuno pare scandalizzato per una situazione di questo genere. I centri sociali torinesi, di solito solleciti quando si tratta di trovare un tetto pubblico per profughi e clandestini, questa volta non si vedono. L’unico a farsi vivo è Maurizio Marrone, consigliere regionale e comunale di Fratelli d’Italia, che da tempo si occupa dei problemi di alcune famiglie senza casa (tempo fa in un altro quartiere popolare, Lingotto, ha favorito la nascita di una specie di “comune” in un palazzo abbandonato). «È inaccettabile che le famiglie italiane sfrattate vengano smembrate tra dormitori maschili, dormitori femminili, minori in affido in comunità e anziani abbandonati a loro stessi», tuona Marrone. «Propongo che l’edificio di via Traves diventi una struttura da emergenza freddo per famiglie in attesa di casa popolare».

Ora la palla passa all’amministrazione del sindaco Fassino, di solito molto accondiscendente con gli occupanti abusivi di edifici pubblici, se si tratta di extracomunitari, anarchici e antagonisti. Vedremo se lo sarà anche con una mezza dozzina di famiglie «normali».

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Giorgio Ballario

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