Eppure era sbarcato ad Istanbul con tutti i crismi dell’eroe che avrebbe dovuto insegnare al Galatasaray come diventare grande anche al di là dell’Ellesponto. S’era portato dietro tutto il suo staff, uomini e donne i più fidati: anche l’addetto stampa, Silvia Berti che lo assiste dai tempi della Fiorentina. Evidentemente, però, il turco è stato troppo ostico da comprendere anche per loro. A un certo punto della sua (breve) avventura turca, don Cesare Prandelli s’è fatto crescere la barba. Qualcuno ha temuto che si fosse definitivamente ambientato e, chissà, che fosse addirittura cambiato: da curato comprensivo di quella specie di Oratoriana azzurra che s’è ritrovato nel cuore della foresta amazzonica a disputare i Mondiali a ferocissimo imam del Gala, intenzionato a portare le schiere del pallone ottomano sulla vetta d’Europa. Cesar Pascià, però, s’è fermato a Bruxelles dopo averne buscate due dai non irresistibili biancomalva dell’Anderlecht. E la società gli sta firmando, in queste ore, il benservito.
Lui, però, s’era sfogato: voleva dei campioni non gli hanno comprato nessuno. Non chiedeva la luna, in fondo: chiedeva Ibarbo e Pato mica Cristiano Ronaldo e Gareth Bale. Appunto. E invece niente, s’è ritrovato a pianificare l’invasione con gli esuli della Serie A: zio Wes Sneijder, sempre più scontento, Goran Pandev, Felipe Melo, Blerim Dzemaili. Con Altintop ed Ebouè. Certo non una squadretta, però, incapace di andare oltre il terzo posto in campionato e di non schiodarsi dall’ultima piazza nel girone di Champions’ che estrometterà i turchi persino dalla sfigatissima Europa League.
Le responsabilità, ha dichiarato, se le prende tutte. E presto sarà esiliato dal calcio turco che l’aveva accolto come il Prescelto e che ora lo saluta senza nemmeno troppi scrupoli. Chissà quanto ci metterà a tornarsene in Serie A.