Libri. “Una nazione in coma” di Piero Buscaroli e le verità scomode

Leggere l’ultimo libro di Piero Buscaroli è stata un’esperienza decisamente impegnativa. Perché se da un lato le sue pagine “revisioniste” rendono giustizia alla nostra storia nazionale, dall’altro pongono dinanzi a una verità affatto consolante, cioè quella che la storia è fatta dai “vincitori”; e si è costretti a ingoiare ogni sopruso subito perché “vinti”.

La storia nazionale che è stata scritta da settant’anni a questa parte è una storia di pusillanimi, interessati solo al proprio “particolare”, al tornaconto personale. Senza slanci eroici. Una nazione, quella italiana, che si è lasciata gettare la polvere in faccia persino da un paese sottosviluppato come l’India, che, però, un minimo di orgoglio nazionale ce l’ha. Noi no. Altrimenti i due marò sarebbero a casa, dalle loro famiglie, già da un pezzo. Ed è una storia sostanzialmente costellata di sconfitte. A cui l’Italia ha molto spesso contribuito, sottomettendosi al volere dello straniero “pacificamente”. A partire dai Trattati di Parigi del ’47, i cosiddetti “trattati di pace” che l’Assemblea costituente approvò quasi all’unanimità, per mezzo dei quali “invece del dolore della sconfitta” si proclamava la “soddisfazione della guerra perduta”, e quindi la volontà dei veri “vincitori”. Soltanto Benedetto Croce – tra gli avversari del passato regime – “ci esortò a sapere essere”, scrive Buscaroli, “decorosi e decenti sconfitti”: “Noi italiani abbiamo perduto una guerra, e l’abbiamo perduta tutti […] anche coloro che sono stati perseguitati dal regime che l’ha dichiarata […] consapevoli come eravamo tutti che la guerra sciagurata, – scrive Croce con grande senso civico – impegnando la nostra patria, impegnava noi, senza eccezioni” (Dal discorso tenuto all’Assemblea Costituente il 24 luglio 1947, “Contro l’approvazione del dettato della pace”).

D’altronde l’Italia, a dispetto della vulgata dominante, fu costretta a prendere parte al secondo conflitto mondiale perché ne andavano di mezzo l’interesse e la difesa nazionali. Decisive all’entrata in guerra furono le mire espansionistiche degli inglesi sul Mediterraneo; il Rapporto Pietromarchi al Capo del Governo dell’11 Maggio 1940, che la storiografia “scansa” pur di negare che la Gran Bretagna costrinse l’Italia alla guerra, riporta nello specifico “i soprusi e le vessazioni inglesi contro la navigazione italiana”. Nel libro è descritto un colloquio che Buscaroli ebbe con Luca Pietromarchi – allora Capo dell’Ufficio Guerra economica. Il diplomatico ribadisce la veridicità dello scritto fugando ogni dubbio riguardo a una eventuale intromissione – sostenuta da taluni storici – di Mussolini nella stesura.

“Una nazione in coma”, questo il titolo del libro di Buscaroli, è un’opera indubbio valore storico. Un ritratto senza filtri dal 1793 di due secoli di storia – come recita il sottotitolo -; una percorso segnato da cadute – molte – ma anche da “impennate” – poche – di orgoglio nazionale, di vera “resistenza”.
E a simbolo di questa “resistenza”, in due secoli di “inutili stragi”, Buscaroli eleva l’eroe vandeano, di cui non manca di narrarne le imprese – sicuramente le pagine più avvincenti e tragiche del libro -, Charette de La Contrie. Il “Re della Vandea”, così definito, che con un manipolo di uomini, restando fedele al proprio Re, osò sfidare – vanamente – la République. E’ una storia segnata nel profondo dai germi di ribellione e di odio della rivoluzione francese, il cui spirito innervò “lo stupido secolo XIX” e ebbe il suo momento di exploit nelle due ecatombi del ‘900. Buscaroli fa i conti con la storia. E ha le carte in regola per farli. “Una nazione in come” non è un libro “partigiano”, come si potrebbe scioccamente pensare. E’ una zibaldone di documenti che uno dei grandi che restano alla cultura italiana ha messo a disposizione della comunità al fine di portare alla luce verità scomode che i vincitori e gran parte degli “ipocriti” vinti preferisce mantenere insabbiate. Quello di Buscaroli è un appello indiretto perché la storiografia ufficiale riequilibri la bilancia dei vincitori e dei vinti. Perché un olocausto è stata anche la distruzione di Dresda, e del suo patrimonio artistico, e dei tanti monumenti della nostra penisola – dopo la caduta di Mussolini – con l’infame moral bombing voluto personalmente da Churchill: “Conviene lasciare che gli italiani cuociano nel loro brodo”.

*Una nazione in coma. Dal 1793, due secoli, di Piero Buscaroli (pp. 569, 16 p. di tav. : ill., euro 19, Minerva)

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Giuseppe Balducci

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