Cinema. “Interstellar”: Nolan, Proust e un racconto ai confini dell’umanità

6a00d8341bfb1653ef01a511ba63de970c-christopher-nolan-s-interstellar-scientific-vision-makes-revolutionary-moviePer raccontare l’uomo serviva andare molto lontano, ai confini della stessa umanità, in senso fisico, in senso filosofico. Christopher Nolan lo fa con un film ispirato all’epopea sci-fi di 2001 Odissea nello spazio e c’è già chi lo acclama come il probabile top player ai prossimi Oscar. Interstellar tutto si direbbe – visto la macchina del marketing – meno che l’anti-Gravity. Innanzitutto perchè si fa pochissimo uso di effetti speciali – con buona pace di chi voleva godersi un succoso 3D – basti pensare che le navicelle spaziali usate nel film sono modelli in scala 1:1 e che la maggior parte delle location esistono davvero, dall’Islanda alla California. E poi niente green screen, si è scelto di ricorrere ai vecchi stratagemmi pulp anni 70′ dell’Accademia Kubrick e Lucas Film. Non solo. Interstellar che dovrebbe essere dal titolo, un gioiello visivo da main stream, in realtà è interamente girato su pellicola, come si faceva ai tempi di Melies, prima che il fascismo scoprisse il cinema. Nolan non ha rinunciato agli “effetti tradizionali” e si è affidato alla realtà per raccontare una storia – in puro stile Inception – ai limiti del soprannaturale.

Tanta realtà per cui servivano attori veri, in carne e ossa, in grado di trasformare lo script in un vero serial drama: da Matthew McCounaghey ad Anne Hathaway, Michael Caine ed Ellen Burstyn, tutti premi Oscar “viventi”. E ce n’è parecchia di carne al fuoco in questo film di fantascienza che si sviluppa su diversi piani narrativi, diverse scatole filosofiche, e alternate scale di umanesimo post Guerre Stellari. Ma neanche per sogno! Come tutti i film di Nolan, il regista anglo-americano, ci ha regalato una storia circolare, umana, coraggiosa, decisamente complessa ed emotiva, non priva di rischi. Innanzitutto il tempo, tema ricorrente del film che arriva a durare ben 169 minuti! E poi c’è la complessità di una trama dai contorni decisamente fisici, dalle sfumature tecnicistiche spesso assai poco masticabili, c’è un montaggio borderline tra l’approssimativo e lo psichedelico, che porta decisamente lo spettatore a chiedersi se la storytelling sia stata inizialmente pensata per una trilogia e per ultimo – collegata alla faccenda del montaggio – c’è la sceneggiatura a tratti molto segmentata e spesso “forzata” da una colonna sonora onnipresente – ma pur sempre apprezzabile – del Maestro Hans Zimmer.

Le critiche maggiori ad Interstellar sono infatti lo screen play, i dialoghi “fumettistici”: o troppo cervellotici o troppo spezzettati. Ma la storia è il vero effetto speciale di questo film e non si poteva pensare che, data la fatica di scriverlo, dirigerlo e pensarlo su schermo, Interstellar potesse anche accontentare i tarantiniani attenti alle “battute da copione”. E’ un film piuttosto che preferisce l’espressività, senza esagerare, che rilancia l’immagine analogica senza screditare l’action, che mischia la tradizione del racconto umano fatto di errori, speranza e coraggio senza tuttavia dimenticare l’importanza di una storia nuova che spiazza lo spettatore facendolo sentire “spaesato” proprio come nei film di Kubrick. Il Guardian ha detto che Kennedy avrebbe approvato la speranza di Interstellar che diviene mito, in un film che usa molto l’immagine del cowboy e della nuova frontiera legata allo stereotipo del navigatore-scopritore. Una storia lunga, lunghissima, in un fanta-movie abbastanza dinamico e veloce, a cui è servita una storia nella storia per potersi esplicare. Interstellar si farà amare e si farà odiare ma di sicuro farà sorprendere perchè in questa fatica proustiana, Nolan è riuscito a narrare l’amore e l’umanità, nei posti più lontani – concettualmente ed freuedianamente – dall’animo umano. Un meta luogo fatto di Warm-hole e fisica quantistica. Altro non si può dire. Non resta che rischiare con il regista nella speranza che questo film si comprenda prima di trasmutarlo in un cliché. Ma come tutti i capolavori non si potrà non odiarlo, dopo averlo amato per quei velocissimi 169 minuti. Dopotutto provate a non odiare Proust dopo quelle magnifiche 2366 pagine. Il tempo è tutta una questione di relatività.

@barb

Santi Cautela

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