L’intervista. Stefania Craxi: “Caringella su Bettino? Nessuna garanzia per mio padre”

Stefania Craxi
Stefania Craxi

“Dopo vent’anni mi chiedo se quella decisione sia stata giusta. E ho qualche rimorso. Non intendo dire che Craxi fosse innocente. La Cassazione ha confermato la sentenza di condanna. Ma mi chiedo se non ci potesse essere più umanità nei confronti di un uomo sconfitto. Se il legislatore e il potere giudiziario non potessero trovare una soluzione per consentirgli di curarsi in Italia e di affrontare il processo da uomo libero. O quanto meno da uomo sano. Averlo costretto a rimare in Tunisia gli ha probabilmente accorciato la vita”. Le parole sono di Francesco Caringella che 29 anni fu il giudice estensore del mandato di cattura nei confronti del leader socialista e che oggi, entrato a fare parte del Consiglio di Stato, ha appena pubblicato il libro “Non sono un assassino”.

Chissà cos’ha provato, signora Stefania Craxi, davanti ad una simile dichiarazione?

“Bettino Craxi dunque colpevole, che è poi il titolo dell’opera di Nicolò Amato, è la conclusione scontata del teorema del ‘non poteva non sapere’ in cui le garanzie di difesa, i diritti dell’uomo e del cittadino, prima ancora che del politico, sono stati ridotti ad enunciati senza valore”.

Ma quali potrebbero essere le colpe di suo padre?

“Craxi, fu di fatto colpevole di aver governato a lungo e bene l’Italia rompendone l’asse compromissorio e senza l’influenza di un Pci di cui, per altro, aveva messo in evidenza i limiti e le contraddizioni. Da una parte agitavano la questione morale e dall’altra prendevano ordini e soldi da una potenza militare dell’Est nemica dell’Italia senza disdegnare quelli di casa nostra. Craxi per loro non era un avversario normale, bensì il nemico d’abbattere, per di più riformista, giunto con le carte in regola all’appuntamento con la storia e che solo una vergognosa campagna di odio e falsità, alimentata dalla continua violazione del segreto istruttorio, poteva sconfiggere ed eliminare”.

Bettino Craxi fu proprio lui a pronunciare il discorso del 3 luglio 1992 sulla fiducia al governo Amato.

“Un discorso, che se fosse stato rettamente inteso dal mondo politico, alleati e non, e da magistrati imparziali avrebbe potuto cambiare il corso della storia ed evitare al Paese un ventennio di scontri e conflitti tra i poteri dello Stato ed in particolar modo tra politica e magistratura con quest’ultima assurta al ruolo di potere egemone che ha ridotto la giustizia ad una caricatura di se stessa. Basti pensare alla violazione del più elementare principio della civiltà giuridica, cioè la responsabilità personale del reo, che non vale per Craxi condannato sulla scorta di un teorema non suffragato da alcune prove”.

La raffica degli avvisi di garanzia verso Craxi fu un vero bollettino di guerra.

“Anzi la cronaca di una guerra, una guerra sancita dal comportamento partigiano della Procura di Milano che firmò collegialmente tutti gli avvisi di garanzia e le richieste di autorizzazione a procedere: il rifiuto di spostare i processi dalla sede di Milano per le continue violenze di piazza contro l’abitazione e gli uffici di mio papà furono il primo chiaro segnale che si volevano processi farsa. Più volte mio papà denunciò da Hammamet di aver subito un “processo speciale: è ormai chiaro a tutti che Mani Pulite, è stata un’operazione politica violenta tesa a stravolgere gli assetti della Prima repubblica – che andava riformata e superata – e far posto a nuovi attori rappresentativi di nuovi interessi internazionali”.

Per inciso, il progetto andò male perché, come si dice, “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi” e mandato all’esilio Bettino Craxi comparve Silvio Berlusconi.

“Era del tutto chiaro che la necessità di cambiamento per via democratica avrebbe richiesto passaggi elettorali dagli esiti per nulla scontati, perciò, si è preferito sostituire alle regole della democrazia la via giudiziaria alla conquista del potere. Alla legge della democrazia si è preferita la scorciatoia della via giudiziaria, si è stretta in pugno l’arma della giustizia politica. Ma la via giudiziaria, in democrazia, non consente formali processi politici. E’ stato dunque necessario trasformare in reato gli accordi interni del sistema politico economico della Prima repubblica finalizzati a sostenere i costi di tutti i partiti democratici. Una via invalsa da decenni, che godeva del consenso di tutti. Un aspetto quello del finanziamento della politica, cui non si ricorda una sola battaglia parlamentare di denuncia e di opposizione condotta dai partiti organizzati. Nella storia le rivoluzioni passano attraverso l’eliminazione fisica di chi detiene il potere al fine di modificare l’ordine costituito. Le pseudo-rivoluzioni, invece, non potendo usare la violenza fisica, ricercano altri strumenti. In Italia, la via più rapida e lo strumento più efficace é stato quella del processo penale”.

Oggi molte cose non sono state fatte, troppe altre sottovalutate, altre ancora rimosse.

“Certamente, prima di tutto per la precisa responsabilità di una sinistra impotente, prigioniera di certa magistratura, che l’aveva ‘graziata’, pervasa da un moralismo militante, ovvero il giustizialismo, vera cultura dominante e collante di quell’elettorato (Renzi e la posizione sull’amnistia) accecata dall’odio e dalla pratica della demonizzazione dell’avversario politico. È difficile immaginare un processo di pacificazione nazionale in assenza di un’operazione di verità storica, perché le storture dell’oggi hanno radici profonde, involute e non facili da recidere se non si usa il linguaggio della verità e la forza del cambiamento propria delle riforme”.

È qualcosa che non si vuole fare perché riscriverebbe una nuova storia dove i campioni della doppia morale e del nuovismo, i presunti cultori dell’istituzioni, verrebbero travolti.

“È per questo che da sempre si è ostacolata in tutti i modi una commissione d’inchiesta su Tangentopoli, ed è per questo che oggi si continua ad ostacolare un commissione sugli attentati e le stragi mafiose del ‘92 – ‘93 e sulle presunte trattative tra esponenti delle istituzioni e organizzazioni criminali, un tema, anche questo, buono per infangare alcuni, ma inesistente se interessa altri. Al proposito, penso sia ancora oggi necessario istituire una commissione unica che indaghi a 360 gradi su tutti gli episodi oscuri, connessi tra loro più di quanto non si immagini, che si verificarono in quel drammatico biennio. Senza di questo, continueremo a vivere in una Repubblica del ricatto, una Repubblica delle bugie, delle mezze verità, una Repubblica giudiziaria che quindi non è una Repubblica democratica e dei cittadini. Diversamente a ciò, il risultato è che oggi, ancora una volta, con una storia che si ripete in tutta la sua drammaticità si sono ripresentati i processi speciali, accompagnati dalla già nota grancassa mediatica, con imputato Silvio Berlusconi. Non si tratta di un raffronto simmetrico tra Silvio Berlusconi e Bettino Craxi, personalità dalla storia diversa, in epoche diverse ed in un sistema politico- istituzionale radicalmente mutato, ma si tratta di leggere il filo di continuità, lo stesso accanimento mediatico-giudiziario, condotto dagli stessi attori e registi, con gli stessi vili ed infami metodi. Ed è per questo che Berlusconi, espulso in maniera indegna e prepotente dal Senato, e bollato indecentemente in una sentenza politica dalla Procura di Milano come ‘delinquente abituale’ è paragonato con facilità a colui che fu apostrofato dalla stessa Procura un ‘criminale incallito. Mio papà, Bettino Craxi”.

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Mario Bocchio

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