Libri. “La strategia del tango” di Restuccia e l’alpino Galimberti tra amore e ironia

alpinoNon dico di strapparla, come suggerì il professor Keating ai suoi sbigottiti studenti, ma saltatela senza esitazioni: l’introduzione. Intendiamoci: l’intento dell’ottimo Andrea Carraro è notevole, aiutare il lettore a comprendere il romanzo di Paolo Restuccia.

Se segniamo le somiglianze con Cerami sull’asse orizzontale di un grafico e quelle con Pasolini su quello verticale, sarà sufficiente calcolare l’area totale del romanzo per misurarne la grandezza. Battute a parte, l’introduzione è degna di nota se solo non fosse una introduzione ma, per l’appunto, una nota.

Tutt’al più un innocuo risvolto di copertina. Spiega al lettore di cosa tratterà l’autore romano e lo fa con competenza, ma un lettore sensibile come me rischia di rimanere paralizzato alla terza riga: “Giallo atipico di ambientazione militare”. Definizioni come questa potrebbero assassinare i migliori romanzi e quello di Paolo Restuccia è tra i migliori che io abbia mai letto. “La strategia del tango”, semmai, mi ha riconciliato con l’ambiente militare, perché un alpino allergico alla grappa non l’avevo mai conosciuto. Figuriamoci un alpino cinquantenne senza posizioni di potere da far valere e carente d’ambizioni, che fa innamorare una ragazza di ventitre anni, bella, volitiva e anticonformista.

Non che io – perdonate l’inusuale e ripetuta prima persona – abbia poca considerazione degli alpini o disprezzi la grappa. Mi infastidiscono gli stereotipi e i confini, spesso angusti, dei generi narrativi. E “La strategia del tango” non è (solo) un giallo, è un romanzo sorprendete, con una galleria di personaggi stupefacenti.

Non appena pensi di aver preso le misure a ognuno di loro e pianificato la lettura – si parte con un crimine efferato: è un noir investigativo, pensi – Restuccia cambia linguaggio, luoghi e riferimenti. Una storia d’amore? Sì, anche, un amore improbabile ma non più di altri. Una storia sul potere che tutto corrompe? Certo, ma senza retorica e manicheismi di sorta. Non ci sono buoni e cattivi, ma cattivi e molto cattivi.

Conservatori e progressisti pari sono, cambiano gli slogan, non i metodi, meno che mai il personale politico. Il sottobosco è quello che abbiamo imparato a conoscere dalle cronache, puntualmente giudiziarie. Mezze calzette. Uomini che hanno un prezzo, il più delle volte basso assai. Da comprare e manovrare a piacimento. Galoppini preposti a ricoprire ruoli manageriali in grandi aziende pubbliche per meriti che davvero non potremmo definire tali. Attenzione, però: non siamo di fronte a un romanzo di denuncia sociale.

Per quanto il ritratto della nostra società possa essere desolante, l’indignazione non cancella il sorriso con cui ci lasciamo dolcemente avvolgere dalla trama. Non ci sono condanne né assoluzioni, a ben vedere. Il colonnello Ettore Garimberti, protagonista suo malgrado, del resto, non è tipo da salire in cattedra e non coltiva pregiudizi. È stato educato a difendere ma non è un eroe e non ha le physique du rôle del giustiziere, neanche quando cerca di trasformarsi in un Rambo poco verosimile. Il nostro Ettore ci mette un po’ a capirlo: non c’è politica che tenga, i cambiamenti sono annunciati e puntualmente rimandati.

L’Italia è destinata a morire perché gli italiani sono morti da un pezzo o forse non sono mai nati. È una storia criminale di furfanti. Ecco cos’è. E con i furfanti non si scherza. Lo imparerà a sue spese, il buon Galimberti che, malgrado il padre generale, dalla madre ha ereditato l’amore per il ballo. Perché la strategia del tango che dà il titolo al romanzo non è quella rivendicata nella postfazione: la citazione di un politico afghano sul modo in cui gli occidentali esportano la democrazia nel mondo, ovvero un passo avanti e tre indietro. Né c’azzecca – eccezionali, al riguardo, le citazioni dialettali che Galimberti, spugna d’umanità alpinesca, sfodera con dotta e piacevolissima disinvoltura – la strategia della tensione che strizza l’occhio all’opera di Leonardo Sciascia, che rievoca le oscure trame di destabilizzazione di un paese abile a nascondersi dietro improbabili (e inconfessabili) ragioni di Stato.

La strategia del tango, quella che fa di questo romanzo un capolavoro di rara intensità, è l’improvvisazione che solo un fine conoscitore del ballo (e un maestro di scrittura come Restuccia, papà della Omero, la più antica e accreditata scuola di scrittura creativa italiana) può restituire al lettore: “improvvisare con il corpo guidando il corpo di una donna, senza parlare, senza preavvisi, come due che camminano insieme allo stesso ritmo”. È un corpo a corpo con il lettore, quello che Restuccia balla fino alla fine in un crescendo rossiniano – la musica è molto presente nel romanzo – che ci trascina in un finale volutamente surreale. Restuccia non sceglie una delle opzioni possibili, ma l’unica che i Galimberti di questo mondo non potranno mai scegliere né giustificare. Ognuno usi l’arma che possiede e l’autore, romano sornione e arguto, ne possiede una preziosa quanto feroce: l’ironia. Che non ha nulla a che fare col buonismo, ma basta avvertimenti! Il libro reclama lettori. Non ve ne pentirete.

e l’amore*La strategia del tango di Paolo Restuccia, pp. 320, euro 15,90, editore Gaffi

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