Spesi, troppe volte, nel peggiore dei modi. Massimo Moratti, la sua passione e la sua tendenza a fidarsi forse troppo dei giudizi di collaboratori, amici, valletti e calciatori del cuore ha regalato alla Serie A una carrellata di bidoni da Circo Barnum della pedata. Gli dobbiamo il mitologico Vampeta, brasiliano, statuaria icona gay e basta, perché il pallone proprio non era cosa sua. Gli dobbiamo Taribo West, il killer dalle treccine colorate a cui Dio – ipse dixit – impose di giocare attaccante. Gli dobbiamo Vratislav Gresko, tra gli esecutori materiali di quella psicostrage sportiva di cuori nerazzurri che fu il 5 maggio 2002.
E poi Domoraud, Okan, Pacheco, Van der Meyde, tale Rambert, il desideratissimo Solari, il fantasma di Quaresma, lo spettro di Diego Forlan, le apparizioni di Sorondo.
Però Moratti è stato anche chi ha sdoganato i trasferimenti ultramiliardari. Come anello di fidanzamento alla sua Inter portò quel diamante fragile che rispondeva al nome di Luis Nazario da Lima, alias Ronaldo. Prima ancora s’era accaparrato Youri Djorkaeff. E poi l’odio-amore con Christian Vieri. L’esplosione di Adriano e la sua rovinosissima caduta, iniziata proprio a Milano. Il lungo romanzo d’amore scritto e diretto da capitan Javier Zanetti, JZ4 come l’hanno siglato i feticisti delle sigle simil-informatiche. Josè Mourinho, il Triplete, il sogno di una vita compiuto: emulare il padre, Angelo, che portò la Grande Inter alla conquista dell’Europa.
In tempi di ristrettezze, in tempi di Mazzarri e Thohir, versione 3.0 di un Lotito indonesiano e più sorridente, Moratti c’entra poco. Andarsene è accettare che un’epoca, quella del presidente che stacca assegni a prescindere, a chiunque, è finita.
@barbadilloit