L’intervista. “Vivere l’incompiutezza”: un colloquio con Pierfranco Bruni

brunoStiamo tutti compiendo un cammino, con passi ora felpati, ora pesanti, sempre esistenzialmente implicanti. Lungo il percorso incontriamo tanti fatti contingenti, capaci di coinvolgerci intimamente – noi giornalisti in primis. Non bisogna tuttavia dimenticare che la scrittura, prim’ancora che descrizione informativa e battaglia polemica, è originariamente narrazione immaginale, apertura di mondi, sogni e labirinti inesplorati. Questo è lo spirito con cui abbiamo affrontato l’interessante dialogo con Pierfranco Bruni che proponiamo ai nostri lettori. Il curriculum dell’autore è interminabile: archeologo direttore del Ministero Beni Culturali, Bruni è anche presidente di numerose associazioni, saggista, poeta, romanziere e giornalista (collaboratore della Rai); ma è soprattutto un valido sismografo dell’età contemporanea, cui si accosta con la postura estetica ed esistenziale dello scrittore di un’epoca ormai trascorsa ma sempre nascostamente presente.

Nella sua proteiforme ricerca culturale si è dedicato ai generi della poesia, del romanzo e della saggistica: qual è la sua forma espressiva preferita?

C’è un intreccio di letture che portano a una visione complessiva del legame tra letteratura e vita, tra letteratura e mistero. Ma ormai è da anni che mi occupo di una critica “dello sguardo”, oltre le incomprensibili interpretazioni accademiche e scientifiche, di un vivere dentro i linguaggi della poesia, che significano linguaggi del narrare. Questo mio viaggio di anni si è ormai ancorato nell’incontro alchemico tra poesia e raccontare.

Un’ampia parte dei suoi studi si è concentrata sulla storia ed esegesi della letteratura italiana. Preferenza estetico/letteraria, vocazione nazionalista o “affinità elettive” pure?

I due aspetti convivono, anzi i tre aspetti. Ci sono affinità perché c’è una vocazione e questo legame è tenuto insieme dall’estetica, che diventa, per me, sempre più uno strumento dell’eleganza e dello stile, che è stile della ricerca della bellezza.

Un’altra precisa scelta di campo è stato il suo contributo all’ebook Al di là della Destra e della Sinistra. Dopo il Libro Manifesto “Per una Nuova Oggettività” (AA.VV., a cura di Sandro Giovannini e Roby Guerra, La Carmelina, Ferrara 2014), recente pubblicazione del movimento metapolitico “Per una Nuova Oggettività”. Quali sono le ragioni di questa sinergia?

Ciò che resta di certo di questo Novecento che non passa, dal punto di vista letterario e rivoluzionario, è soltanto il Futurismo. Ma si è Futuristi non perché si applica una determinata forma di arte o di linguaggio. Piuttosto perché si è rivoluzionari, perché si è ribelli nei confronti del conformismo dilagante. Perché si è costantemente in “rivolta”, in quanto non abbiamo mai mandato ai mercati rionali o generali la nostra intelligenza e la nostra libertà.

Qual è il ruolo pratico e teoretico che il movimento “Per una Nuova Oggettività” potrebbe assumere nel quadro di quella “rivoluzione della tradizione” di cui ha espresso gli elogi?

La tradizione, anche nella rivoluzione, resta fondamentale. Perché si rinnova sempre la Tradizione senza la quale non ci sarebbe né senso né orizzonte. L’Oggettività va in questa direzione. Noi siamo rivoluzionari in quanto siamo portatori di una Tradizione e riusciamo a essere fedeli perché la rivoluzione è il vero amore che caratterizza i nostri viaggi esistenziali.

“Tutto resta incompiuto. Perché la bellezza sia in letteratura che nella vita è un cammino incompiuto. Si ferma proprio nel momento in cui bisognerebbe cogliere l’istante. Il “maledetto” e l’assurdo hanno vie non separate e non separabili”. Così si è recentemente espresso, mediante un’immagine esperita frequentemente da ognuno nella propria esistenza. Questa intuizione ha tuttavia ricadute più ampiamente culturali: serve un ritorno allo spirito tragico della nostra tradizione o quali altre vie sono percorribili per la riconquista di un’autentica esperienza del mondo?

Noi non siamo mai stati e mai saremo Esseri della leggerezza. La leggerezza non esiste. È solo una parola astratta che fa comodo agli incolti. Il senso del tragico è nella tradizione di una filosofia che non diventa mai ideologia perché pone al proprio centro la Persona. Tutti viviamo l’incompiutezza. In fondo, la morte non fa altro che fermare un cammino. Quando un cammino si interrompe si entra nel cerchio che non si chiude. Qui è l’assurdo. Ma se non ci fosse vivremmo come foglie. Ma noi siamo il vento, e non le foglie.

@barbadilloit

Luca Siniscalco

Luca Siniscalco su Barbadillo.it

Exit mobile version