Lavoro. La destra smemorata (e reazionaria) che dà ragione a Vendola

lavoroOgnuno è evidentemente “figlio” della destra che più gli aggrada, visto l’ampio catalogo delle “destre”, su cui da decenni si lambiccano storici e politologi. Importante però, almeno chi certe sensibilità ancora li possiede, è non cadere vittima delle manipolazioni ideologiche dell’avversario o, peggio ancora, assecondarle.

E’ quando sta accadendo, in questi giorni, sui temi del lavoro.

Quando Angelino Alfano e l’NCD chiedono a gran voce l’abrogazione, per tutti coloro che, oggi, ne hanno ancora diritto, delle tutele contenute nell’ art. 18 sulla reintegrazione del lavoratore in caso di licenziamento, l’impressione è che si voglia dare ragione a Nichi Vendola e alla sua idea di una destra reazionaria e un po’ becera, schierata, “a priori”, contro i diritti dei lavoratori, compresi quelli acquisiti, come previsto nell’ art. 18.

La materia è troppo delicata per diventare motivo del contendere politico, dentro e fuori gli schieramenti, tra Renzi che vuole “rottamare” la Cgil e la Camusso impegnata a difendere il proprio orticello , tra l’ala di sinistra del Pd mobilitata a dimostrare la propria esistenza in vita ed il decisionismo del Segretario-Presidente del Consiglio, tra un centrodestra in affanno, che sostiene il governo (NCD) ed un centrodestra formalmente d’opposizione (FI) pronto a fare la stampella dell’attuale maggioranza, perdendo tutti di vista la questione in sé e gli interessi reali di quanti con certe tutele o non-tutele devono poi farci i conti veramente.

Sul piano dei principi e della memoria storica non ci sentiamo però di “regalare” alla sinistra la tutela dei lavoratori.

Al di là di certe amnesie e di certe interpretazioni strumentali, la destra politica italiana ha nel suo codice genetico un patrimonio di idee e di valori che appartengono alla storia dell’emancipazione sociale del ‘900, mentre termini quali collaborazione, partecipazione, codecisione, cogestione, sono i “segni” di un coerente percorso dottrinario, ricco di intuizioni e di elaborazioni, spesso non ancora sufficientemente valutate, che nulla ha a che fare con la conflittualità di classe (tipica del massimalismo di sinistra) o con certe estremizzazioni iper-liberiste.

E’ la Storia di una destra che rifiutava l’idea dell’anticomunismo come repressione e non-giustizia sociale e non accettava l’etichetta reazionaria e capitalistica – come spesso ricordava Giorgio Almirante.

E’ la Storia di una destra che guardava al mondo del lavoro, condividendo con la Cisnal, storico sindacato di riferimento, la proposta partecipativa, fondata sulla cogestione delle aziende, mediante l’inserimento di rappresentanti dei lavoratori nel consiglio di amministrazione delle imprese.

E’ la Storia di una destra che sbandierava l’idea della Nazione Sociale.

E’ la Storia di una destra che, nel 1985, in occasione del referendum sull’abrogazione della norma che comportava il taglio della scala mobilie, non aveva paura di schierarsi sul fronte del “sì”, capitanato dal Partito Comunista che quel referendum aveva promosso.

Smarrire queste coordinate, storiche e spirituali, significa perdere di vista non solo il senso di una generica appartenenza quanto soprattutto la visione strategica di certe scelte, riducendo tutto a mero pragmatismo: un errore imperdonabile per chi dichiara di riconoscersi in una tradizione sociale, ivi compresa quella della Dottrina cattolica, ed un bel regalo alla sinistra, che, sui temi del lavoro e della socialità, molto ha da fare perdonarsi, avendo sbagliato tutto.

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​​​​​​​Mario Bozzi Sentieri ​​​

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